Con l'inizio del XXI secolo e dell' Evo immateriale stiamo
verificando un fenomeno curioso e triste. Le scienze umane
e sociali, che hanno avuto tanto peso nel secolo scorso,
stanno eclissandosi a favore della scienze della materia,
della natura, dei numeri. I problemi degli essere umani
e dei gruppi sociali, vengono studiati (molto poco) come
problemi chimici, elettrici, statistici, economici.
Le scienze umane lasciano il posto a quelle non-umane:
economia, statistica, chimica, neurologia, fisica sostituiscono
psicologia, sociologia, antropologia, pedagogia. Nella letteratura
delle scienze umane e sociali sempre più raramente
vengono citati Freud o Jung, Piaget o Lewin, Durkheim o
Pareto, Adorno o Fromm. Un secolo di ricerche, teorie, esperienze,
dibattiti è relegato nella polverosa soffitta dell'oblìo.
L'epistemologia è quasi scomparsa, per cui cosa sia
la scienza è diventato un interrogativo obsoleto.
E' scienza quella che praticano quelli che si definiscono
scienziati.
La quasi scomparsa delle scienze umane e sociali va di
pari passo con la quasi scomparsa delle professioni umane
e sociali. I pedagogisti sembrano spariti, gli psicologi
sono sostituiti dai neuropsichiatri, i sociologi lasciano
il passo ai giornalisti o ai sondaggisti. L'educazione,
la prevenzione e l'assistenza sono affidate ai "volontari";
la formazione è gestita da addestratori, informatori
o contabili; la psicoterapìa è sostituita
dalla chimica; la psicoanalisi è quasi sparita.
Possiamo fare almeno due ipotesi per spiegare questa decadenza.
La prima ipotesi è di tipo psicologico.
Il XX secolo è stato centrato sull'umano e sul sociale,
grazie alle lotte civili e sindacali ed alla conquista del
welfare state. E grazie anche ad un progressivo benessere
diffuso, in Occidente, che ha reso possibile il "lusso"
di mettere l'uomo e la società civile al centro.
Il XXI secolo è caratterizzato da cambiamenti epocali
(globalizzazione e smaterializzazione dell'economia) accompagnati
da una impietosa crisi economica. Questa drammatica regressione
ha prodotto un oscuramento dell'umano e del sociale, ed
uno spostamento in periferia di valori prima centrali. La
scala dei bisogni di A.Maslow nel secolo precedente era
percorsa in salita (verso il bisogno di autorealizzazione),
nel secolo attuale corre in discesa, alla sola ricerca della
soddisfazione di bisogni primari e di sicurezza. Il trauma
della crisi ha provocato la rimozione dell'umano e del sociale,
con le conseguenti ineluttabili nevrosi. Le scienze considerate
"dure" e la pratiche "magiche" offrono
un' alienata sicurezza che le classiche scienze umane e
sociali non offrono.
La seconda ipotesi è di ordine politico.
Il trionfo del capitalismo selvaggio ha prodotto l'indebolimento
delle autorità politiche e la spinta ad una minore
sensibilità per l'uomo e il sociale. Le esigenze
ecomiche hanno prevalso su ogni altra. In questo cammino
le scienze e le professioni umane e sociali erano non solo
un costo, ma anche un disturbo. I professionisti tradizionali
sono meno malleabili dei "volontari", dei contabili,
dei farmacisti e dei sondaggisti. Quindi si è reso
necessario restringerli, coartarli, eliminarli. Prima si
sono compresse e minimizzate le professioni: "volontari"
preferiti a educatori e pedagogisti professionali; formatori
sostituiti da contabili; farmacisti al posto di psicoterapeuti
e psicoanalisti; sociologi messi da parte per funzionari
e sondaggisti; antropologi azzerati dai giornalisti. Poi,
di conguenza, si sono messe in ombra le scienze corrispondenti.
La pedagogia, le psicologie, la sociologia, l'antropologia
che per oltre un secolo hanno studiato l'uomo e la società
e le pratiche per il loro benessere, sono relegate nella
cantina polverosa della storia.
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