Sono stato plasmato dall'immaginario romantico di fine Ottocento,
impregnato delle passioni maschili per le esplorazioni e le cattedrali,
la solitudine e la sessualita; e delle passioni femminili per il
possesso del maschio, i grandi sacrifici, il coraggio del quotidiano,
la seduzione e la tenerezza. Il maschile era il pubblico, il femminile
il privato.
La rivoluzione delle donne degli Anni Settanta mi ha fatto percepire
la totale uguaglianza fra i due sessi, con la sola, decisiva, differenza
del corpo.
Alle soglie del XXI secolo intravvedo il nascente impero delle donne,
o meglio di femmine transessuali dominanti su maschi transessuali,
entrambi con una differenza di generi incorporata. Non dico che
sarà meglio o peggio, solo sarà diverso.
La previsione che faccio si fonda su queste poche osservazioni:
1-la procreazione si sta emancipando dal rapporto sessuale, grazie
alle tecniche di manipolazione genetica;
2-la gestazione sta diventando meccanica, grazie alle tecniche mediche;
3-il sesso sta assumendo valenze polimorfe (grazie alla caduta del
tabù della omosessualità, e alle scoperte di fonti
orgasmiche alternative - chimiche, elettriche, meccaniche, telematiche,
virtuali, ecc.);
4-le donne stanno liberando le loro risorse, prima concentrate nella
sfera privata, assumendo tutte le funzioni tradizionalmente affidate
ai maschi;
5-gli uomini stanno recuperando le loro parti femminili, represse
o rimosse per secoli;
6-la distinzione tra ciò che era geneticamente e sociologicamente
"femminile" e "maschile" sta gradualmente perdendo
senso;
7-nella competizione fra i sessi, ormai estesa sia alla sfera pubblica
che privata, le donne sono molto più forti in quanto più
plastiche e adattabili;
8-le donne maschilizzate, cioè transessuali femmine, sembrano
il genere vincente del Terzo Millennio.
Inizialmente pensavo che queste osservazioni fossero distorte dal
particolare campione di cui ho esperienza: gli operatori sociali
in genere. Le professioni "sociali" (psicologi, educatori,
insegnanti, ecc.) sono caratterizzate dal primato delle skills femminili:
la accoglienza, il prendersi cura, la sensibilità, la seduzione,
l'intuizione, il dialogo. I maschi che entrano in questa professione
sono già, o lo diventano, disposti a valorizzare i loro tratti
femminili e materni. Non è che i tratti maschili (come autorità,
aggressività, rischio) siano proibiti o estinti: sono generalmente
assopiti. La vistosa maggioranza di donne che operano nelle professioni
sociali, non è casuale. E' che i valori dominanti nel lavoro
sociale in sè, sono prevalentemente femminili. Non è
possibile riconoscere stili maschili e femminili nel lavoro sociale:
gli operatori sono transessuali a prevalenza femminile.
Una riflessione più attenta mi sta convincendo però
che gli operatori sociali non sono un campione eccentrico, ma anzi
sono la avanguardia di un fenomeno generalizzato. I valori dominanti
delle democrazie occidentali mature sono femminili. L'ecologia,
il Welfare State, l'accoglienza verso le diversità etniche,
il rifiuto della guerra, sono valori politici di matrice tipicamente
materna. Ma anche valori più generali, meno politici, come
la sicurezza, la stanzialità lavorativa, la passione per
la casa, l'appartenenza al localismo, la cura del corpo sono di
matrice più femminile che maschile. Una società che
privilegia la sicurezza sulla libertà è una società
in cui prevale il femminile.
Naturalmente viviamo un'era di transizione ed i vissuti soggettivi
non sono privi di crisi e tormenti, di fronte al passaggio dai due
generi al monogenere transessuale. Gli uomini si feminilizzano e
le donne si maschilizzano in un circuito del quale è difficile
stabilire la causa e l'effetto. Gli uomini vivono una repressione
delle loro parti virili, ma sono ancora timidi nell'esprimere il
loro femminile; le donne vivono l'esatto contrario: soffrono della
perdita del femminile senza riuscire a godere dei vantaggi della
conquista del maschile. Un rancore ed una radicale disistima reciproci,
si intrecciano con una perdita della identità di genere dei
due sessi. Per entrambi il vissuto dominante è quello della
colpa: per non saper essere più i maschi e le femmine stereotipici,
e non saper ancora essere transessuali compensati.
Il vissuto di crisi viene tacitato col ricorso ad immagini stereotipiche,
dove il maschio è forte, autorevole, avventuroso, aggressivo
e la femmina è dolce, sottomessa, nutritiva, sensibile. Questo
immaginario è sempre più scollegato dai comportamenti
e dalla ideologia, che invece tendono alla riduzione delle differenze:
dall'abbigliamento unisex alla sfera emozionale (nella quale le
donne rivendicano il diritto all'aggressività e gli uomini
al pianto); dall'etica, di fatto unificata nei valori materni, all'estetica
della rotondità e dell'ornamento (opposta al rude funzionalismo
maschile).
Su questo scenario pesa anche la riduzione dell'attività
sessuale: unico terreno nel quale i sessi possono ritrovare i propri
generi tradizionali. Una nuova repressione, sostenuta dal terrore
dell'AIDS e dalla paura di esplorare l'omosessualità, rende
la pratica sessuale più immaginaria che reale, gestita in
modo surrogatorio e sublimato piuttosto che fisico e tradizionale.
La reazione alla crisi per alcuni maschi è quella della violenza
sessuale, mentre per la maggioranza dei maschi e delle femmine è
l'astensione.
"Vengo da un mondo corrusco e rutilante,
dai vivaci colori del sangue,
della morte e dell'avventura,
dove maschio e femmina ricordavano gli amanti,
e dove gli amanti,
guardandosi negli occhi,
riconoscevano il Dio da cui erano usciti.
Attraverso un mondo dal pallore aurorale,
dai colori dell'incertezza,
dove maschio e femmina ricordano i fratelli,
schiacciati dalla colpa di non essere più sè stessi.
E vado verso un mondo ermafrodito,
dai colori che non so,
dove maschio e femmina saranno un solo Dio,
e dove il genere sarà
un nostalgico mito".
*riflessioni in margine al XXV Laboratorio di Dinamiche di Gruppo
e di Comunita "LA CORNUCOPIA: FEMMINILE E MASCHILE", tenutoi
a Sulzano d'Iseo nei giorni 9-10-11-12 Aprile 1995
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