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Gruppo e pratiche
del cambiamento di Guido Contessa
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Per quasi tutta la seconda metà del XX secolo, la pratica sociale è stato dominata dal protagonismo del piccolo gruppo. Terapia, formazione e lavoro hanno registrato un vistoso passaggio dal metodo individuale a quello gruppale. Fino agli Anni Trenta guarire, apprendere e lavorare erano considerati eventi individuali nei quali le relazioni e il piccolo gruppo erano meri scenari, contenitori neutri o casuali. Le ricerche di Lewin per la formazione, quelle di Mayo per il lavoro ed infine quelle di Bion per la terapia hanno (nel decennio 1935-1945) spostato il centro delle pratiche sociali dall'individuo al piccolo gruppo. Per la verità, sia Mayo che Bion hanno studiato gruppi "di reparto", piuttosto grandi che piccoli. Tuttavia, il grande impatto del lavoro lewiniano (con la Teoria del Campo, la Ricerca-Intervento e il T-Group) ha fatto prevalere la dimensione del piccolo gruppo come protagonista delle pratiche di cambiamento. Tutta la seconda metà del secolo ha visto il gruppo al centro
della formazione, con il T-group di Lewin, le Conferences del Tavistock,
la tecnica di Rogers, i gruppi d'incontro di Schutz, i lavori di Pages
e Lapassade, la scuola di Spaltro. Nel campo del lavoro il gruppo
fu reso protagonista dalle "isole di montaggio" Volvo, dai
circoli di qualità, dall'organizzazione per team e task forces,
dai gruppi "omogenei". In campo terapeutico la centralità
del gruppo è stata sancita dalle scuole prima di Bion e poi
di Foulkes, ma anche dallo psicodramma moreniano e dai numerosi filoni
delle psicoterapie "californiane". Il gruppo è stato
anche messo al centro da pratiche di grande successo sociale come
quelle degli Alcolisti Anonimi, dei Weight Watchers, delle comunità
per ex tossicodipendenti. La formazione è stata per mezzo secolo il campo nel quale
il piccolo gruppo ha assunto il valore più preciso e radicale.
Tutte le teorie e le tecniche legate all'apprendimento ed alla formazione
hanno messo il piccolo gruppo nel ruolo di protagonista, non solo
come contesto attivo ma anche come attore. Nella formazione, il gruppo
non è stato solo lo scenario del processo di apprendimento
individuale, ma anche il soggetto titolare di un apprendimento collettivo,
promotore e garante della crescita del singolo. La "group mind"
ed il "clima organizzativo" sono stati per decenni un target
dell'azione formativa, con importanza pari al target individuale. Le motivazioni basiche del ruolo di protagonista del piccolo gruppo nel processo di apprendimento sono le seguenti:
Le motivazioni basiche suelencate si radicano in una serie di premesse che derivano da una particolare concezione psicosociale dell'essere umano. Che sono:
L'Evo Immateriale, un'epoca che affonda le radici nella seconda metà del XX secolo, è caratterizzato anche dal circuito totalitarismo-infantilizzazione. Il lungo processo (iniziato negli Anni Sessanta) di ribellione verso ogni autorità, sperava di confluire in una nuova società fraterna, conviviale, autonoma, matura ed aperta. Invece si è sviluppata nell'esatto contrario: una società occidentale totalitaria, bellicosa, chiusa, infantile ed insicura. Il terzo Millennio ha assunto le sembianze degli Anni Cinquanta, unite al disordine degli Anni Venti. In termini psicosociali, questo significa un rovesciamento delle premesse fondanti il senso del piccolo gruppo:
Le mutazioni delle premesse psicosociali dell'Evo Immateriale segnano la fine delle pratiche di cambiamento della Modernità. Terapia, formazione, prevenzione, assistenza e comando diventano pratiche decorative nei casi migliori, e manipolative o repressive nei peggiori. Tutte le pratiche del cambiamento diventano impossibili in una una società che considera il cambiamento, la microsocialità, la pluralità e le relazioni come patologie psichiche e sociali. La terapia non è più scoperta e liberazione, ma adattamento autoplastico coatto. La formazione non può essere apprendimento e creazione della novità, ma indottrinamento e manipolazione finalizzata alla replicazione. La prevenzione ha perso il suo carattere di rafforzamento (empowerment), per ridursi alla predicazione ed al controllo normativo. L'assistenza non è più una pratica emancipatoria, ma una colonizzazione paternalistica. Il comando è sempre meno una guida per la qualità e la promozione, e sempre più un mero potere che oscilla fra coercizione ed assenza. Questa fine delle pratiche sociali moderne, in Occidente, non è solo causata da un potere pervasivo e totalitario o da qualche caudillo impadronitosi legalmente delle democrazie "mature". Essa è anche determinata da una domanda sociale che si trasformata insieme alla mutazione delle premesse psicosociali. I pazienti chiedono normalizzazione invece che liberazione. Gli studenti non hanno alcun interesse, in senso psicologico e materiale, ad apprendere, sapendo che solo l'integrazione e la replicazione possono fornire un ruolo sociale. La predicazione e la repressione, sono interventi più remunerativi della prevenzione-empowerment, per le élites di potere ma anche per gli utenti che sanno bene quanto il proprio rafforzamento possa generare ritorsioni. Lo stesso vale per gli assistiti, che alla fatica dell'emancipazione preferiscono l'assoggettamento ad un padre "bonario". I sottoposti infine, consci che qualità e promozione hanno perso ogni legame, subiscono volentieri dosi di coercizione in cambio di spazi di anarchia, consentiti dall'assenza di comando. La coincidenza fra gli interessi delle élites di potere, cioè dei committenti, e gli utenti delle pratiche di cambiamento genera una cultura che vincola gli operatori, trasformando la loro autonomia in subalternità. A nulla serve il richiamo all'etica professionale ed alla buona volontà: le conseguenze del lavoro prescindono dalle intenzioni degli operatori. I quali possono solo negare l'evidenza della realtà, non cambiarla.
La fine delle pratiche di cambiamento della Modernità non
coincide con la estinzione degli operatori. La persistenza ed anzi la proliferazione di terapeuti, formatori ed educatori, managers, esperti di assistenza o prevenzione spinge a cercare se esista una qualche prospettiva interessante per queste professioni, da affiancare al deprimente destino di accettare la superfluità in nome della mera sussistenza. Questa prospettiva, per chi scrive, riguarda la ricerca e la sperimentazione: rassegnati a fare un lavoro inutile, gli operatori possono approfittare delle situazioni in cui si trovano, per ricercare e sperimentare nuovi sentieri. Naturalmente a partire dalle nuove premesse che l'Evo Immateriale impone. Per la formazione, la prospettiva che ARIPS intravvede come possibile ricerca e sperimentazione, è quella del Grande Gruppo. E' possibile dare un senso ad un'esperienza formativa gestita all'interno di un gruppo dalle 15 persone in su (senza suddividere il grande gruppo in piccoli gruppi)? Che significati assumono nel grande gruppo concetti come: socialità, relazione, leadeship? Con cosa può il grande gruppo sostituire le obsolete finalità del cambiamento e dell'apprendimento?
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