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Da n. 36 – lug-dic 93

RIVOLUZIONE = EVOLUZIONE? RIFLESSIONI PER UNA PSICOLOGIA POLITICA

Le vicende di tangentopoli, divisione della ex-Jugoslavia, Israele che negozia con l’OLP e, prima ancora la caduta del muro di Berlino e la fine del socialismo reale ……Cosa sta succedendo nel mondo? O forse sarebbe meglio dire nei paesi che si affacciano al Mediterraneo  o che comunque col “Mare Nostrum”  hanno qualche tipo di rapporto? In questi ultimi anni si stanno verificando  una serie di stravolgimenti che fino a poco tempo fa sembravano impossibili e, a parte qualche eccezione, gli avvenimenti si realizzano senza rivoluzione cruenta e senza spargimento di sangue. Non è certo il caso della Jugoslavia o di Israele. Ma continuano a verificarsi avvenimenti che contrastano radicalmente con le “tradizioni” senza che questo costi deportazioni, morti e distruzioni. Anche in Italia la cultura della gente si sta modificando al punto che c’è chi  ha il coraggio (finalmente!) di inquisire ed anche di mandare in galera chi da sempre detiene e gestisce il potere: non basta più che qualcuno dica  “Lei non sa chi sono io….” per intimidire ed interrompere  un’azione di controllo  o per rendere succube ed ossequioso  chi invece cerca solo di fare il suo dovere. Eppure tutto questo ha del miracoloso perché pare accadere improvvisamente, senza che sia invadente, per lo meno per la gente comune, la sequenza di avvenimenti che hanno causato e prodotto certi stravolgimenti. Ma Vico non parlava di corsi e ricorsi  nella storia e di fatti che ne provocano altri come dirette conseguenze? E allora come si spiega l’impressione di “sorpresa”  che caratterizza queste situazioni? Forse le trattative, i fatti-causa si sono svolti segretamente o sono stati tenuti nascosti  e riparati per timore che il clamore potesse provocare dei disastri? Tutto questo può anche essere avvenuto: in fondo nessuno di noi ormai ha informazioni di prima mano …. I mass-media con le concentrazione delle testate nelle mani di pochi possono spiegare l’avvenimento. O può esserci sfuggito qualche accenno  importante. Ma è anche verosimile che sia avvenuto come di solito accade in un laboratorio chimico, dove un certo fenomeno si verifica grazie alla “precipitazione” contemporanea di una serie di elementi: un primo attimo, ad una temperatura solo di poco inferiore, non accadeva nulla.  Oppure era necessaria una certa quantità di un composto: di più o di meno non andava bene perché  o rendeva l’esperimento impossibile oppure produceva delle catastrofi. R.Thom con la sua teoria dà un’importante contributo per comprendere queste situazioni. Tutto questo richiama alla memoria  anche le teorie psicosociali di Lewin secondo cui un gruppo non è la somma delle parti (le persone che lo compongono) ma è un’aggregazione diversa che ha come caratteristica l’interdipendenza  fra le diverse componenti che la costituiscono: un qualsiasi gesto, fatto, avvenimento compiuto da un membro  del gruppo provoca una serie di reazioni di “riassestamento” che modificano la gestalt precedente. La vita e l’evoluzione del gruppo  seguono un certo tipo di percorso  che è abbastanza prevedibile, in linea di massima, pur essendoci possibili vistose eccezioni. Così occorre del tempo ed insieme che avvengano certi fatti perché si producano determinati fenomeni. E certo ad un osservatore inesperto e distratto potrebbero sfuggire elementi preziosi  ed esplicativi di quanto va accadendo.

Cionondimeno  questi “fatti” esistono e sono concreti. L’indagine e l’analisi dei fenomeni macro-sociali  non è però lo specifico  della psicosociologia che certo può offrire spunti ed idee, ma che si occupa principalmente delle micro-collettività. Anche la Psicologia di Comunità, anch’essa di origine lewiniana, non è una disciplina particolarmente adatta all’analisi  dei grandi cambiamenti che caratterizzano la vita della comunità mondiale, sia perché i contesti di cui si occupa sono anche in questo caso relativamente circoscritti, sia perché è caratterizzata  soprattutto da un approccio progettuale piuttosto che inquisitorio: evidenziati  una serie di problemi, bisogni, desideri, si tratta di trovare delle soluzioni, risposte, idee da concretizzare. Ciò che importa dal nostro punto di vista è individuare una modalità di tipo “psicologico” per affrontare le problematiche  della nostra società in evoluzione. Non si tratta di disconoscere il contributo importante della sociologia, ma di usare una lente diversa che offra altri dati, ma che insieme consenta di intervenire efficacemente  a “livello umano” sia che si tratti di un singolo individuo o di aiutare una macro-comunità a svilupparsi. La Psicologia Politica può offrire una risposta soddisfacente a questa ricerca se, come ha sostenuto E.Spaltro nel XXIII Congresso della SIPS che era appunto focalizzato su questi temi, ha come compito principale di contribuire al benessere, alla progressiva espressione della soggettività, al miglioramento della qualità della vita. Attraverso la Psicologia Politica  potremo capire meglio i fenomeni socio-politici  e potremo migliorare l’organizzazione e l’azione sociale: che rapporto esiste, per esempio, fra ideologia e comportamento umano sia individuale che collettivo; come evolvono le ideologie in un contesto culturale; in quale modo ed attraverso quali strategie il cittadino può “riprendere” il diritto di scelta e di determinazione del contesto politico e culturale in cui vive. Sono alcuni dei grandi filoni di ricerca e di studio che potrebbero  interessare questa elaborazione più  “concreta” della psicopolitica introdotta in Italia da L.De Marchi e che fino a  oggi è stata poco approfondita: la particolare situazione in cui si trova ora la nostra società pare più adatta per avviare una sperimentazione effettiva che, attraverso l’applicazione degli strumenti  consolidati e “nuovi” della psicologia, consenta ad individui e collettività una reale autodeterminazione coerente con i loro obiettivi e con un maggior benessere.