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DA NOTIZIARIO N. 43 estate 1996

LA PROVINCIA & L’IMPERO di Margherita Sberna

Solo recentemente ho riflettuto su un fatto, certo di non grande importanza: il prefisso telefonico internazionale degli USA è 001; quello dell’Italia è invece 0039. Sarà forse un caso o è una conferma concreta della differenza di potere e di prestigio che esiste anche fra le due nazioni? Io propendo per la seconda ipotesi, anche se un po’ mi rincresce.

Ma ciò che mi spiace è l’aver osservato che questa condizione di subalternità è profondamente radicata in noi italiani e non solo relativamente a situazioni  in cui esiste di fatto una inferiorità, ma anche in contesti in cui ciò non ha ragion d’essere. Ecco qualche esempio. Siamo fra i popoli più ricchi di storia e, di conseguenza, di testimonianze del nostro passato, e solo una minima parte di ciò è valorizzato e ben custodito. Al contrario negli USA diventa un museo persino la casa di J.R. usata soltanto per le riprese del famoso serial Dallas. Il nostro territorio è fra i più ricchi e belli del mondo, e noi non solo tendiamo a distruggerlo, ma lo pubblicizziamo assai poco, cosicché il turismo, che potrebbe essere la nostra principale azienda produttiva, ne risulta limitato. I nostri scienziati, come i nostri poeti e filosofi, si sono distinti fin dai tempi più remoti per le loro scoperte e le loro produzioni, eppure noi guardiamo con invidia all’estero, ritenendo che abbiamo solo da imparare. I nostri imprenditori lavorano nel mondo in molti settori all’avanguardia e con tecnologie sofisticate. E si potrebbe continuare…

Benché negli ultimi tempi le cose siano un po’ cambiate, il nostro senso di inferiorità rimane comunque marcato ed evidente. E così pare quasi che essere fra le 7 maggiori potenze del mondo, anziché inorgoglirci giustamente, ci abbia trasformato in boriosi esibizionisti. Del resto, nella parlata comune, non si dice di uno un po’ sbruffone “fa l’americano?”. Certo i feed-back che ci arrivano dall’estero, in particolare dagli USA – ovviamente – non sono fra i più gratificanti. Gli italiani sono molto spesso identificati con la mafia, o comunque con i delinquenti e gli emarginati; ma andrebbe ricordato che sui giornali, fra le notizie “vere” c’è quella che il sindaco di New York è italiano, o quella delle sfilate dei nostri sarti d’alta moda nella stessa città o, ancora, il successo di molti nostri artisti (attori, cantanti, registi…). Insomma, noi italiani dovremmo essere orgogliosi di noi stessi, sia come individui che come popolo! Il senso di inferiorità che ci perseguita è quasi incredibile e talmente radicato da impedirci di rispondere adeguatamente agli eventi che ci coinvolgono. Così accade che chiediamo ancora e costantemente l’intervento degli USA per sedare le guerre, spesso sanguinosissime, che coinvolgono i nostri “vicini”, essendo noi incapaci di prendere in piena autonomia una posizione. O, ancora –è di pochi giorni fa- che accettiamo di segnalare le nostre intenzioni rispetto si rapporti internazionali, agli USA, quasi fossimo bambini che devono chiedere il permesso ai genitori prima di qualsiasi gesto. Nell’ipotesi che tutto questo si spieghi, per lo meno a livello individuale, con una scarsa autostima, un perdurante sentimento di insicurezza ed una conseguente difficoltà ad assumersi responsabilità, resta sempre difficile inquadrare il fenomeno passando a situazioni macro. La mia ipotesi è che il fenomeno, a livello di collettività, si spieghi attraverso l’analisi del nostro passato che è quello di un popolo etnicamente omogeneo, ma “ideologicamente” diviso e con numerose diversità che rendono quasi impossibile  il costituirsi di un sentimento comune. In altre parole, gli italiani non si identificano come comunità. Lo stesso territorio geografico enfatizza il problema, perché è molti diversificato e spesso connotato localmente. E tutto questo è collegato con le nostre radici, come individui, gruppi familiari e “tribù” più allargate e numerose: abbiamo grande difficoltà a staccarci dalle nostre appartenenze. Così la percezione di una frammentazione da un lato e di una fragilità dall’altro, rendono difficile e lento il cammino verso l’autonomia e l’interdipendenza  nei confronti degli altri popoli e delle altre nazioni. Io credo che la soluzione stia in due elementi. Il primo è la nostra creatività che ci spingerà sempre più a competere con l’esterno per il puro desiderio di primeggiare. Il secondo elemento è quello che riguarda il carattere del XXI° secolo, centrato sull’Immateriale, la Qualità e la Bellezza: un secolo che potrebbe far ritrovare all’Italia un ruolo centrale nel pianeta.