Il
T-Group
è unesperienza di apprendimento, non solo per chi vi partecipa,
ma anche per chi la conduce. Lesperienza del gruppo
di sensibilizzazione, focalizzata sul dipanarsi delle
relazioni interpersonali nella continua dinamica (contemporanea
e simultanea) del gruppo, rappresenta per
i partecipanti unoccasione unica per imparare di
sé e del proprio essere in relazione. Anche per il conduttore
lesperienza può essere foriera di stimoli per riflettere
sullo stato dei gruppi e dellindividuo, nel loro
rappresentare un frattale del sociale e del collettivo.
Le
considerazioni che presento di seguito, dunque, sono state scritte
a caldo dopo la conduzione di un T/group, evento
formativo conclusivo di un percorso di formazione per conduttori
di gruppo. Gli oltre 30 partecipanti, appartenenti alla
medesima scuola (tranne alcuni esterni),
alla terza esperienza autocentrata, suddivisi in tre gruppi,
hanno vissuto in parallelo lesperienza, in un week end
di metà novembre.
I
gruppi sono stati condotti da trainers e osservatori appartenenti
ad ARIPS.
1. Assenza di conflitto: evitamento dellaltro vs. pratiche
autorepressive
Il
vocabolo conflitto riprende il latino conflictus, derivato dal
verbo confligere, composto di cum (con) e fligere
il cui significato è urtare, sbattere contro. Il prefisso cum
sta ad indicare che lurto non è unilaterale: conflitto
come lotta, combattimento, o contrasto, che coinvolge almeno
due parti. Queste possono essere individui ma anche parti interne
del singolo sé, tendenze o impulsi intrapsichici che talvolta
turbano, in maniera significativa, il comportamento di una persona.
Il
conflitto, durante i tre giorni di attività, non si è mai presentato,
allinterno del gruppo, in forma esplicita. Di fronte ad
alcuni bagliori di aggressività palese e di comunicazione alterata,
i comportamenti agiti dai contendenti nei confronti
dellaltro sono stati di fuga, sottrazione, evitamento.
E chi ha provato ad esplicitare tale diversità,
attraverso pensieri e azioni differenti o di contrasto, si è
fulmineamente riparato dallorrore e rifugiato nellomologazione.
Percorrendo fino in fondo la strada (deriva!) verso vissuti
di autorepressione e comportamenti di autopunizione. La sequenza
attacco-fuga (di bioniana memoria) è stata sempre seguita da
lunghe pause di silenzio, scuse reciproche, esplicitazione di
inadeguatezza.
La
paura dellaltro diventa paura di sé, delle proprie emozioni
e dei propri comportamenti.
Lo
sforzo viene dedicato allautorepressione, allautoflagellazione,
alla dissimulazione: si vive il gruppo nellombra, in costante
allarme, tesi continuamente a mimetizzarsi, per non distinguersi.
2. Il gruppo come protesi e ortopedia
La
paura dellalterità viene messa in scena in accordo a standard
comportamentali agiti e riconosciuti al fuori del gruppo di
sensibilizzazione. Nella stragrande maggioranza dei casi, il
riferimento è al grande gruppo scolastico. Il qui
e ora viene di continuo tradito. Poco o nulla interessa laltro
presente: ci si concentra su come era (in altro T/group) oppure
su come non è più (emotivo, razionale, gregario o leader).
Il
gruppo non rappresenta più il con-testo per scrivere un testo,
insieme agli altri, ma uno scenario dove prende vita e viene
messa in scena la propria sostanziale estraneità agli altri.
I lunghi silenzi sono rappresentazioni in gruppo
di vissuti artistici e i rituali affettivi (pianto e abbraccio)
sono privi di pathos, poiché ciascuno si aspetta e tragicamente
ottiene risposte funzionali al proprio bisogno di conferma (protesi)
e/o di riparazione (ortopedia).
Tutto
ciò mi ha evocato ciò che Guy Debord affermava nella sua critica
al capitalismo come tragico motore della trasformazione
delle relazioni sociali.
Nella
sua forma ultima, il sociale si presenta come una immensa accumulazione
di immagini, in cui tutto ciò che era direttamente vissuto
si è allontanato in una rappresentazione. Lo spettacolo
non coincide però semplicemente con la sfera delle immagini:
esso è "rapporto sociale fra persone, mediato attraverso le
immagini", l'espropriazione e l'alienazione della stessa socialità
umana.
L'esistenza
individuale sembra dunque divenire così insensata da perdere
ogni pathos e trasformarsi in esibizione quotidiana: nulla assomiglia
alla vita della nuova umanità quanto un film pubblicitario da
cui sia stata cancellata ogni traccia del prodotto reclamizzato.
3. Il grande gruppo: appartenenza come illusione terapeutica
Ogni
gruppo ricerca nell'agio il suo "modus operandi". Agio come
spazio "accanto" (ad-jacens, adjacentia), luogo aperto in cui
è possibile per ciascuno muoversi liberamente e in
cui la prossimità spaziale confina col tempo opportuno
(ad-agio, aver agio) e la giusta relazione.
L'agio
è il sentimento della sovranità di un "gruppo" su sé stesso,
del benessere collegato al sentirsi a casa propria e di poter
decidere della vita e del futuro.
Lagio
si fonda sul legame, sovranità del plurale sul singolare.
Il
gruppo è sentimento ed esperienza della pluralità; ma è anche
sentimento collettivo che riconosce la soggettività, nell'unicità:
è un dipinto di Enscher, l'io e i molti di Eraclito. Ma ciò
è possibile, se e solo se, influenzamento reciproco e vissuto
di appartenenza rappresentano forme del legame. La partecipazione,
come lotta per l'appartenenza, presuppone il darsi la possibilità
di influenzare e di farsi influenzare. Possibilità che non può
che nascere se non nel campo definito da quegli individui, in
quel luogo e in quel tempo.
Ma
nei tre giorni ciò non si è dato, se non in forma di lampo
e tuono.
Lo
sviluppo del gruppo non è stato che l'altra faccia della frantumazione
delle soggettività individuali. Identità frantumate che hanno
prodotto, in un processo di proiezione continua, un gruppo compatto
solo nella soddisfazione (protesica e ortopedica) di bisogni
di sicurezza, di difesa dall'incerto, di protezione dallo sconosciuto.
Perduta la caratteristica di essere fondato sul legame tra i
soggetti, il gruppo ha mostrato meccanismi e articolato sistemi
di soggezione e controllo del singolo. Legando in un circolo
vizioso, soggettività e pluralità, per sostenere unimmagine
allucinata di sé, nellillusione di frenare linarrestabile
deriva verso potenziali comportamenti patogeni.
Se,
da una parte è stata dunque la singolarità, con la sua incapacità
di collegamento tra le parti interne e di legame con l'altro,
che connotava quel che rimaneva del gruppo, dall'altra la forma
grande gruppo (degli allievi della scuola), ha rappresentato
la forma ideale di risposta all'ansia depressiva
di ciascun membro. Il continuo rifarsi aldilà e al di fuori
del gruppo, per riversarsi nellideale del
grande gruppo, ha presentato come risultato
relazioni che non hanno proposto la valorizzazione e l'incremento
di partecipazione ed appartenenza, quanto la cura del corpo
(individuale), perché mai guarisca e si risvegli dal suo torpore,
fisico, psicologico e mentale.