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PREVENZIONE E MICROPOLIS

Le piccole Comunità verso una nuova Costituzione
Alberto Raviola, gennaio 1998

Cosa contraddistingue le piccole comunità ?

Quali sono le caratteristiche dei loro territori ? Quali i limiti, le estensioni, i confini ?

Proviamo ad immaginare come si presenta il territorio di un piccolo abitato di provincia da una visione dall’alto. Il centro e le strade di attraversamento, la collocazione delle piazze, i centri di incontro e i luoghi di interesse pubblico e di decisione, la Chiesa e il Municipio.

Nella descrizione, facciamoci aiutare da una logica di “cerchi concentrici”.

La Chiesa e la Sede Municipale spesso si specchiano ai lati di una piazza o di una strada che li separa; intorno edifici e luoghi della storia e della tradizione, più in là i primi segni dell’incipiente urbanizzazione (case nuove, piccole villette, con giardino tipo inglese). Oltre la “grande strada di passaggio” i nuovi centri residenziali e talvolta commerciali la cui funzione è di transizione/congiunzione con altri territori ai quali appartengono altre comunità. Luoghi di scambio commerciale ma anche nuove agorà di incontro e relazione, soprattutto per i giovani.

Il confine spesso non si rintraccia più; i territori si sovrappongono, i cerchi si intersecano creando settori e territori comuni che appartengono a tutti e a nessuno; il limite si trasforma:  da linea continua a punti in continuo flusso e tratteggio irregolare.

Se questa è la topografia del territorio, come può configurarsi la geometria delle relazioni all’interno della comunità?

L’ambiente della comunità non è definito, si allarga, si prolunga. Oppure si restringe, si ritrae,  penetrando e/o abbandonando luoghi e spazi, colonizzando la “terra di nessuno”.  Scompare l’habitat psicologico del territorio: le persone, i cittadini non stanno e non vivono all’interno del territorio. Le loro vite, di studio e lavoro, il loro tempo libero si articola altrove. Molti “passano attraverso”, vengono (o vanno) per incontrare,  poi ritornano da dove sono venuti.

Anche il tempo delle persone è frantumato; prende le forme del nomadismo e del pendolarismo, caratteristiche che hanno sostituito la stanzialità e il modo casalingo.

Le energie (fisiche, psicologiche, mentali) delle persone sono dissipate verso mille rivoli, raramente orientate verso un centro territoriale, spesso seguono linee centrifughe.

Le relazioni sono frettolose raramente visibili (nella piazza e per le strade), e privilegiano i gruppi chiusi, in luoghi privati e nascosti; e così il senso esistenziale di esse (relazioni) si cerca altrove perché altrove porta l’interesse o i sentimenti.

Ma allora ha ancora senso parlare di Comunità ? Di luogo di scambi e di relazioni che hanno significato per chi vi appartiene ? Di spazio di crescita e nutrimento per i giovani che vi abitano e appartengono ?

Forse abbandonando nostalgie restaurative per quel luogo dove c’era un solo centro,  dove il tempo era scandito dal suono del campanile e lo spazio delimitato dalle mura di cinta, e forse dissacrando queste tentazioni conservatrici e ricostitutive, possiamo pensare ad una FASE COSTITUENTE DELLA COMUNITÀ.

E per chi come me si preoccupa di offrire opportunità di consolidamento e sviluppo alle Comunità per costituirsi e fronteggiare gli ostacoli che incontra nel percorso, trova modo per poterne parlare attraverso il ricorso al linguaggio del mito, che è memoria e racconto, senza definizione di verità. E’ Prometeo e la sua storia che mi aiuta in questo compito.  

La lotta di Prometeo contro gli Dei ci indica la non accettazione della distinzione della gerarchia e della subordinazione tra Dei e Uomini, la  rivolta contro la Geometria del Sacro, definita a priori da un unico centro del Potere.

Ma Prometeo ci dice anche che questa lotta si può vincere con l’inganno e l’ironia.

Perché l’eroe si prende gioco degli Dei e del Dio degli Dei, Zeus, sottraendogli la parte legittima del toro sacrificato e rubando il fuoco nascosto agli uomini.

E in questo atto Prometeo non solo attua il furto della Conoscenza e della Tecnica, ma si appropria anche della drammatica consapevolezza di perdersi oltre i confini di un MONDO COSTITUITO.

E quindi  si (ci) costringe ad accettare la sfida di dar vita ad una NUOVA CREAZIONE PER GLI UOMINI attraverso un sapere tecnico ma anche attraverso la coscienza di essere di fronte ad un’impresa senza più punti di riferimento e sicurezze acquisite. I cui costi (che fuoriescono dal Vaso di Pandora) sono lavoro e fatica, sofferenza e sciagure; perché il CAMBIAMENTO si può attuare solo attraverso una piccola o grande DISSACRAZIONE DEL CENTRO, dei confini, delle gerarchie, del dentro e fuori, del sopra e sotto.

E a me, Prometeo, insegna che la fase costituente dovrebbe partire da questa scoperta: che CONSAPEVOLEZZA E SAPERE TECNICO devono andare a braccetto per costituire una Comunità senza cadere nella trappola di riproporre modelli e realtà del passato, regole e sentimenti che non trovano più significati, ne individuali né collettivi. E che la sfida si gioca intorno a nuovi compiti e incontrerà ostacoli e problemi. Come quelli di promuovere SENTIMENTI (sensazioni e sensibilità) che di per sè hanno un carattere di ambivalenza e di “molteplicità” ma che vanno valorizzati e sostenuti nella loro espressione.

Come quelli di interiorizzare la capacità di non stupirsi dell’instabilità (di individui e gruppi) e della precarietà (di valori e norme) ma farne un punto di forza, perché è possibile favorire relazioni nutrienti e positive anche se a tempo determinato. E quindi di  favorire molti centri di attrazione, diversificati, aperti, mutabili.

Forse perché costituire significa far nascere DESIDERI non solo colmare BISOGNI, e promuovere le diversità e non tollerarle o includerle intorno ad un “axis mundi”, all’interno di uno “spazio sacro”, desunto da un ordine costituito che non c’è più.

Perché la fase di Costituzione chiede rinnovate ENERGIE e molteplicità di PUNTI DI VISTA per l’identificazione di REGOLE E CODICI, ma anche RITI E TRADIZIONI.

In questo processo cosa e come entra la pratica della  Prevenzione primaria ?

C’entra perché il suo ambito di aggancio è il PROBLEMA (o meglio) la RISORSA GIOVANI che in un’ottica costituente sono coloro i quali:
* tendono a modificare le regole (trasgressione) e a costituirne di nuove
* rappresentano il futuro
* sono diversi, talvolta devianti e minaccianti
* esprimono e suscitano sentimenti (paura, angoscia, entusiasmo, .....)
* non sono solo razionali
* chiedono significati e tentano di costruire risposte sensate

E a partire da ciò la pratica della Prevenzione Primaria agisce nel presente, consapevole che il futuro è quello che conta:

- centrando il proprio intervento sul terreno di coltura (habitat)
- stimolando le Comunità a riflettere sulle risorse non solo sulle mancanze
- per favorire un vissuto non solo un raziocinio, intervenendo per collegare congruentemente il dichiarato con l’agito
- lavorando con i giovani per il riconoscimento dei desideri, la nascita di aggregazioni, la costituzione di centri plurimi e differenziati.

Ma è pur vero che nel percorso si incontrano ostacoli e problemi, difese e resistenze. Perché la conoscenza interpersonale nelle piccole comunità è profonda e ciò spesso significa pregiudizi e rivalità, stereotipi e diffidenze. Perché i poteri (del politico ma non solo) sono consolidati e resistenti al cambiamento; e i cittadini e gli enti che si impegnano non sempre si lasciano coinvolgere. Perché la domanda “chi è straniero, chi è domestico ?” in questi territori non trova sempre risposte condivise.

E perché forse in fondo il mondo adulto non ama i giovani (per i quali dice di darsi “tanto da fare”), ne li stima ne li vuol far crescere ma solo “curare”  a modo suo.

 

(*) il presente articolo è la trasposizione per iscritto della relazione tenuta il 17 gennaio 1998 a Varese nel Convegno “Prometeo in azione. La Prevenzione Primaria nei Gruppi, nelle Organizzazioni, nelle Comunità” in occasione dei festeggiamenti per il ventesimo anniversario della fondazione di ARIPS.