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20 anni
di lavoro - ARIPS 1978 -1998
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PROMETEO IN AZIONE
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LA FORMAZIONE PSICOLOGICA NELL'AREA DEL
DISAGIO
Alberto Raviola
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1. Area del disagio: ovvero della complessità della
categorizzazione
* Soggetti disagiati rispetto a che cosa e a chi ? ...
- debolezza di capacità relative alla costruzione
di un futuro (scolastico, professionale, esistenziale
e cioè mancanza di potere cioè possibilità
di immaginare un progetto; ma allora ci sono milioni di
soggetti deboli?
- debolezza rispetto ad un ordine determinato, unaxis
mundi, che determina percorsi definiti e collettivamente
legittimati, che non tollerano deviazioni dalla
via maestra né scartamenti laterali; ma questi, ordine
e percorsi, mutano, cambiano con il tempo e con i poteri
esterni", spesso chiedono passività e sudditanza,
piuttosto che attività e creatività
- debolezza rispetto a sè stessi ed alle relazioni
con laltro, incapacità di auto definirsi in
un contenitore unitario che chiamiamo identità;
ma questo contenitore mi pare essere più semantico
che sostanziale, paradigma al limite dellimperscrutabile
- fallimento scolastico e abuso di sostanze come sintomi
di disagio e cioè come rappresentazioni di un significato,
espressioni di un proposito e di unintenzione.
PRIMA CONCLUSIONE: il disagio ci appartiene; non
è estraneo a ciascuno di noi; e da qui si può
iniziare a parlare di formazione e psicologia.
I termini sono riconoscere: il conflitto tra una
metafora (cioè paradigma) di identità come
unità, individuazione, integrazione e unaltra
che la rappresenta come plurima, diversa e differente, e
che non si preoccupa di integrarla e identificarne le parti
in un unicum; la polarità tra caos e ordine, molteplicità
e unità, molti e uno, può anche non essere
sciolta.
Conseguenza è che le stranezze e le devianze che
ciascuno di noi porta e agisce sono insieme me
e non me; e possiamo usare queste patologizzazioni
(come le chiama Hillman) per guardarci dentro e fuori, identificando
il normale e il deviante, il distorto e il normale; ma questo
atteggiamento può essere efficace (ma anche significativo)
se siamo convinti con Platone che la ragione da sola
non governa il mondo ne fissa le sue regole. E cioè
se la Fantasia (forse Fantasma) della normalità
non distorce le cose, facendoci perdere il contatto con
le nostre individuali anormalità, provocando linstaurarsi
di norme nella nostra visione del mondo che non sono altro
che unidealizzazione repressiva delle parti anomale
che ne hanno consentito lemergere. Consapevoli anche
che il patrimonio delle nostre esperienze esistenziali,
porta con sè lintrusione costante di intenzioni
inconsce nel comportamento quotidiano che noi consideriamo
normali ma che da altri potrebbero essere giudicate come
anomalie, debolezze, patologie.
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2. Ora possiamo parlare di formazione e psicologia
Le parole chiave: formazione-apprendimento-cambiamento-ambivalenze-difese
Apprendere significa mettere dentro di noi qualcosa di nuovo
o diverso, aggiungere o spostare parti delle nostra credenze,
sviluppare certe parti invece che altre, scoprire
regioni di noi o del mondo la cui esistenza preme per
alterare il nostro precedente equilibrio adattivo.
Ogni apprendimento implica un cambiamento della nostra forma
precedente. Significa spostare parti del nostro mondo e spostare
queste parti implica cambiare la forma del nostro mondo
interno.
Vuol dire rischiare la colpa, lincertezza, lemarginazione;
da qui nascono lambivalenza e le difese. Anche perché
le cosiddette capacità psicologiche sono un concetto
indefinito, e si possono trattare solo se si lavora su il
loro collegamento al comportamento (compito, azione, etc.).
SECONDA CONCLUSIONE: lessere e il divenire, limmutabilità
e il cambiamento, non sono antitesi che devono giungere
a sintesi, quanto piuttosto luoghi di un dilemma che ci stupisce
nel momento in cui scopriamo che la sua ricorrenza è
al fondo del nostro esistere. Nessuna delle due posizioni
mi sembra adeguata: come il bambino della metafora platonica
contenuta nel Sofista, noi formatori della psiche, di fronte
alla scelta, potremo optare per entrambe: convincerci che
il cambiamento è connesso allimmutabilità,
che il futuro cresce nella vulnerabilità stessa del
nostro esistere che al fondo è bisogno di non crescere
mai.
E per me ciò significa smettere di pensare (e di far
pensare) che evolvere significa tendere a rinnegare il passato
e che, in questo senso, ciò che vogliamo/dobbiamo cambiare
è ciò di cui vorremmo sbarazzarci perché
anomalo, perturbante, deviante, debole. Credo che il nostro
compito (oggi più che mai e con le persone che mostrano
sintomi di disagio) sia quello di evitare la rimozione di
sé stessi (o delle parti) come anomali e perturbanti;
e cioè lavorare perché le forze psichiche aumentino
le loro capacità di risvegliare sentimenti e che le
emozioni abbiano almeno dignità di essere in qualche
modo rappresentate nelle azioni quotidiane. |
3. Si tratta di Emozioni
Dewey (1939) ben esprimeva ciò che sto cercando di
dire: La scissione esistente nellattuale vita
sociale tra idee che hanno autorità scientifica e le
emozioni incontrollate che dominano nella pratica, la scissione
tra laffettivo e il cognitivo, è forse una delle
principali sorgenti di disadattamento e di intollerabile tensione
di cui il mondo soffre.
Lemozione è diventata un concetto peggiore di
irrazionalità al limite della follia.
Sembra che lunica e possibile realtà sia quella
rappresentata da Prometeo leroe civilizzatore, simbolo
della fatica, della produttività, e del progresso;
ma io credo anche che alla nostra vita appartenga Orfeo che
antagonista alla logica della ragione, agisce alla luce del
pathos tentando di afferrarne la bellezza contro lo scorrere
del tempo.
In altre parole riconoscere e far riconoscere le emozioni
come principio di realtà significa:
* riconoscere che le emozioni sono un modo di percepire, conoscere,
adattarsi e cioè un modo di essere al mondo
* riconoscere che sono dirette verso qualcosa (impauriti di
qualcosa, sorpresi di qualcosa) e che la cognizione non è
solo concomitante allemozione ma ne è elemento
costitutivo
* riconoscere che la ragione si rivela nellemozione,
per il modo di apprendere e influenzare la realtà,
in termini di valori di attrazione del nostro comportamento.
Con Hillman potremo dire che:
- lemozione significa un mondo psichico obiettivo
di qualità e valori. Cioè lemozione dà
senso al mondo interno ed esterno e al nostro stare in quei
mondi.
Ha una componente razionale o è razionale in sè
e perciò non devessere separata dalla ragione.
E un tipo primario di ragione che dà significato
e importanza a un mondo di pure cognizioni sensoriali.
- lemozione significa qualcosa; è anzi essa stessa
significazione: dove vi è emozione, vi è significato;
dove vi è significato, vi è emozione. Lemozione
dà significato a noi stessi.
- lemozione è anche il solo modo di apprendere,
di conoscere, e di sperimentare alcuni aspetti dellesistenza:
solo attraverso lemozione arriviamo alla più
alta corrispondenza spirituale ed estetica.
TERZA CONCLUSIONE: possiamo e dobbiamo riconsiderare cosa
vuol dire fare formazione della psiche, formazione psicologica,
a partire da noi stessi professionisti di questo ambito.
Lavorare non per la correzione delle emozioni (ricondurre
a norma) nè per loblio delle stesse (rinnegare
il passato). Lavorare per la significazione della molteplicità
che ci abita, lemersione della consapevolezza di non
essere del tutto consapevoli e della paura che ciò
provoca nellazione quotidiana. Lavorare per linteriorizzazione
della devianza come propulsore di creatività e immaginazione,
di sviluppo di poteri e nuove direttrici. Promuovere una capacità
di avere esperienza della vita anche attraverso la sensualità
(estetica) e di immaginarla (la vita) attraverso questa prospettiva
(de-formata) senza preoccupazione per la necessità
di adattamento o legittimazione.
Nella consapevolezza del processo degeneratorio che queste
categorie subiscono (nel tempo e nella vita) e dellinutilità
di perseguire obiettivi di cambiamento a tutti i costi:
perché chi ha scelto come me di sviluppare apprendimento
non intende (né intenderà mai) prescrivere ricette
o decretare sentenze o sancire norme collettive di comportamento.
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