contattaci

SPUNTI DI RIFLESSIONE PER IL 7 LUGLIO 2002 / ARIPS

Da Notizie ARIPS n.16/sett-dic  1983 Vent'anni dopo: ARIPS 2003

IL SIGNIFICATO ED IL VALORE DELL’ARIPS

Dopo cinque anni di vita di un’associazione è legittimo interrogarsi sul suo significato e valore. L’ARIPS è un’associazione senza scopi di lucro, privata, priva di finanziamenti, finalizzata alla ricerca psicologica e sociale e organizzata secondo criteri largamente comunitari. Qual è, se ne esiste uno, il senso ed il valore di una simile realtà nella situazione italiana, negli anni ’80? Si tratta di un’impresa folle, senza futuro fuori dalla realtà, priva di valore? O, piuttosto, non è un sogno coraggioso, basato su bisogni reali ed insopprimibili, come l’autonomia, il bisogno di conoscere e di cambiare, l’esplorazione e lo scambio simbolico? Tante volte ci siamo detti che c’è l’Università, che ha il ruolo di studiare le scienze sociali. E che i prodotti scientifici e culturali sono sottoposti al mercato, come merci, ed alle sue regole economiche. E che la specializzazione si accompagna alla professionalità, non al volontariato. E che rasentava l’arroganza, voler operare  senza agganci, senza padrini, senza legami con le realtà (partiti, sindacati, gruppi di pressione, poteri pubblici) che fanno la storia. Puntare sul merito e sull’efficacia dominata dal valore dell’affiliazione e della sottomissione. E tante volte ci hanno detto che la professionalità è d’elite; che la scienza è di pochi: impossibile, dunque, trasformarle in questioni di gruppo o comunitarie. Ci siamo detti spesso queste cose, oppure ce le hanno dette o fatte capire, magari con qualche smorfia di disprezzo o ironia. Malgrado ciò, abbiamo continuato per cinque anni ad operare fuori mercato, autofinanziandoci, facendo ricerche ed interventi “di gruppo” , e ricercando di continuo una dimensione comunitaria. Abbiamo sbagliato? Dobbiamo cambiare o continuare?

IL VALORE DELL'AUTONOMIA NEL REGIME IMPERIALE

Dopo 20 anni di battaglie, fallimenti e successi, le ragioni dell'ARIPS restano valide per i membri che ne fanno parte anche se il valore sociale si è avvicinato allo 0. Se la società italiana non mostra alcuna esigenza di avere centri di studio e di ricerca, è pure vero che questo bisogno è insopprimibile in quei pochi che ancora non si sono totalmente assoggettati.

Ciò che un tempo aveva motivazione sociale ora può continuare con motivazini individuali o di piccolissimo gruppo. Il futuro è legato alla sopravvivenza di piccoli nuclei di “cavalieri jedi” in grado di portare la fiaccola dell’autonomia aldilà dell’ombra della Storia.

RIFONDARE LE SCIENZE SOCIALI MEDIANTE L’INTERDISCIPLINARITA’

L’associazione è sorta anche sulla base di una riflessione epistemologica che concerneva le scienze umani e sociali, in Italia. Ci sembrava e ci sembra che il nostro paese mostra, in questo campo, ritardi anche maggiori che in altri. Quasi tutta la psicologia e la sociologia italiane si fondano su teorie e ricerche effettuate in altri Paesi, ed in tempi ormai remoti. Su dieci libri di scienze umane, pubblicati da italiani, nove sono “sulla” psicologia, solo uno è “di” psicologia. La fioritura di pubblicazioni, anche estere, sulle scienze umane presenta a centinaia nuovi “modelli”, riformulazioni, diversi “modi di dire”, ma quante sono i veri avanzamenti teorici e tecnici? Ci siamo, dunque, proposti di riprendere dall’inizio il filo della matassa; di rimettere ordine in un mare aggrovigliato di teorie; di rimettere alla prova, oggi ed in Italia, molte idee che erano valide 50 anni fa negli Usa o a Londra. Abbiamo iniziato un lavoro storico e teorico, in qualche settore anche sperimentale. Un lavoro appena iniziato, ma che spesso ironicamente abbiamo definito di “ monachesimo laico”, identificandoci con i monaci medievali che, per salvare la cultura classica dalla barbarie, si sono messi prima a ricopiarla e poi a reinterpretarla. Non si va molto avanti, in 5 anni, su questa strada. Ma qualche idea cominciamo ad averla, almeno sulla direzione da prendere. Questa direzione è l’interdiscilplinarità, sia in senso orizzontale (fra psicologia, sociologia, antropologia ed i loro derivati), che in senso verticale (fra le scienze umane da una parte, e le scienze fisiche dall’altra).

RICERCA NEL DESERTO:
da monaci a stiliti

I barbari che erano alle porte vent'anni fa, ora sono arrivati sotto forma di Governo di occupazione locale, nazionale e imperiale appoggiato da larghe masse di soggetti omologati, inglobati e incatenati. Le scienze e le pratiche sociali sono ormai agonizzanti, sia per la loro subalternità al disegno imperiale sia per la bassa qualità che presentano. E' difficile citare un nuovo paradigma scientifico o professionale emerso negli ultimi vent'anni, non solo in Italia ma in tutto l'Occidente.

L'esigenza del monachesimo è ancora più forte oggi, anche se pare difficile avviare comunità di pensiero e sembra arrivato il tempo delle riflessioni individuali.

 

IL SENSO DI MORTE DELLE AGGREGAZIONI

Non è certo un caso, che nel periodo degli “anni di piombo” l’associazione sia partita da riflessioni sulla entropia dei sistemi organizzati. Le aggregazioni umane ci sembrano (e ci apparivano tanto più allora) come sistemi dissipativi, dominati dall’entropia e dal senso di morte, che si esprimono o sotto forma di disgregazione o sotto forma di repressione. Abbiamo, dunque, lavorato molto su questi concetti, in teoria, con laboratori sperimentali, o nella pratica concreta, degli interventi organizzativi e sociali. Abbiamo studiato il ruolo dell’invidia e delle differenze, in questo processo dissipativi; ma abbiamo anche cercato metodi e tecniche operative per convertire, frenare, oppure rendere consapevole (e dunque contrattabile) questo destino distruttivo. Le tecniche di creatività e quelle di comunità, che abbiamo messo a punto, sono un primo passo. Molto resta ancora da fare, ma prima dobbiamo domandarci se questa direzione di ricerca ha ancora un senso e se non debba essere arricchita e più articolata.

TANATOS HA VINTO

Il processo entropico ha subìto una vistosa accelerazione e le aggregazioni umane sono ormai dilaniate fra schizofrenìa, persecuzione e sadismo. L'invidia sembra essere il sentimento planetario dominante, e la repressione (etero o auto generata) dilaga. Creatività, sessualità e comunità erano le tre strade individuate 20 anni or sono, come antidoto al senso di morte. Oggi la comunità è condannata  alla frantumazione; la sessualità è inibita mediante la marcusiana "desublimazione repressiva"; la creatività è relegata sul piano tecnico delle merci oppure considerata devianza. Per contrastare tanatos oggi, si dovrebbero compiere scelte di vita radicali ed eroiche, che mal si coniugano colla generale mentalità piccolo borghese e burocratica.

L'unica via d'uscita sembra oggi essere la separazione.

IL LAVORO DI COMUNITA’ E LA PREVENZIONE

Siamo partiti dallo studio delle organizzazioni (scuola, impresa, ospedale), poi abbiamo allargato il concetto di aggregazione fino a comprendere quello della comunità territoriale. Una realtà magmatica, insieme rassicurante e minacciante, poco comprensibile, vissuta come dovere e come desiderio; ma una realtà alla quale oggi vengono assegnati compiti istituzionali (terapeutici, educativi, culturali). La comunità territoriale è divenuta oggetto di studi teorici e di interventi concreti. Ben presto ci siamo resi conto che un intervento nella comunità territoriale, qualunque sia l’approccio, non può non finalizzarsi al miglioramento della qualità della convivenza, e quindi non può che essere un intervento di prevenzione. Comprendiamo il rischio ideologico, insito in termini come “qualità della convivenza” e “prevenzione primaria”. Ma tale rischio non ci sembra giustificare la rinuncia a considerare la comunità territoriale come uno spazio di studio e di intervento operativo concreto. Fra l’altro, proprio la sostanza unitaria del concetto, la sua natura di “gestalt”, rende la comunità un oggetto privilegiato per uno sforzo interdisciplinare. Tuttavia, un oggetto complesso richiede sistemi di studio e d’intervento complessi. Abbiamo le risorse necessarie?

COMUNITA' E PREVENZIONE COME CONTROLLO

La comunità come spazio per la difesa e l'identificazione è un sogno vanificato dai processi di globalizzazione e frantumazione  accelerati, ed ha lasciato il posto alla temporaneità, alla pluriappartenenza, e al nomadismo.

La prevenzione, da spinta alla progettazione del futuro ed al controllo di questo da parte di soggetti sovrani, è diventata lo strumento principe del potere delle oligarchìe.

Comunità e prevenzione sono oggi meri strumenti di omologazione e controllo.

UNA COMUNITA’ CHE STUDIA LA COMUNITA’

Abbiamo cercato di fare dell’Arips una comunità mediante diverse opzioni. La zona residenziale, l’apertura a tirocinanti, l’invito a “esterni” a considerare l’associazione come un crocevia, l’ammissione temporanea a “persone in crisi”: sono tanti tentativi di fare dell’Arips una comunità, con le stesse caratteristiche della comunità territoriale (magmatica, mutevole, confusa, turbinosa). Questa scelta ci ha consentito di usare noi stessi come oggetto studiabile, significante della comunità territoriale. Tuttavia, ci ha spesso condannato ad una condizione poco organizzativa e poco efficiente. A molti amici che cercavano dall’Arips sicurezza e protezione, abbiamo, invece, offerto conflitti, insicurezza e oscurità. È stato un errore? Dobbiamo considerare terminata la fase di stato “nascente” ed istituzionalizzare l’associazione, oppure continuare a porci come oggetto speculare del nostro oggetto centrale di ricerca? Oppure forse non abbiamo saputo essere abbastanza  comunità-movimento, rendendo un peso i pur scarsi segni di organizzazione?

DALLO STATO NASCENTE ALLA BUROCRATIZZAZIONE "POSTALE".

Il peggior errore in cui siamo incorsi in questi anni è stata la burocratizzazione del sistema. Nati come comunità in "stato nascente" perpetuo, siamo diventati una organizzazione burocratica, dominata da una mentalità diffusa da "impiego postale" e “dopolavoro”.

Le regole hanno soffocato le idee, la dipendenza ha spento l'autonomia, la sicurezza ha attenuato l'eplorazione. Tutto ciò è stato causato dal passaggio da un ARIPS come luogo di puro studio a luogo di "lavoro". Un errore che va assolutamente corretto.

 

UNA CULTURA DELL’EVALUATION

Una delle maggiori fragilità delle scienze umane, e ancora di più degli interventi sociali, riguarda la non-predittività e dunque l’impossibilità ad effettuare verifiche e valutazioni di efficacia ed efficienza. Poiché le scienze umane non sono predittive, gli interventi educativi, terapeutici e sociali vengono effettuati senza alcuno sforzo di verifica. Ne risulta che gli interventi sociali, privi di supporti giustificativi, vengono considerati “artistici” e restano in balia degli umori e dei poteri del momento. A questo stato di cose, l’ARIPS ha cercato fin dall’inizio una cultura della valutazione, non certo delle performance individuali, ma delle qualità e dei dinamismi degli aggregati umani. Il fatto che l’evaluation sia ancora approssimativa, non ci sembra sufficiente  a diminuire i modesti tentativi in atto finora. Al contrario crediamo che una cultura della valutazione debba essere sviluppata sui ruoli professionali, sulle organizzazioni sociali e perfino sul territorio. Gli strumenti e le esperienze messe a punto in 5 anni inducono a pensare che l’evaluation sia una delle chiavi di volta sia dello sviluppo comunitario, sia della rifondazione delle scienze  e delle pratiche sociali.

EVALUATION SENZA VALUTAZIONE

Quello che, fra i prim,i avevamo individuato come uno strumento di qualificazione degli interventi sociali, è stato nel tempo interpretato come mero strumento formale e burocratico. Al massimo oggi si fanno verifiche, mai valutazioni. La valutazione è una funzione politica e dunque non può essere distribuita fra i soggetti del lavoro sociale. Esso può solo essere avocata, in termini di arbitrio, dalle élites dominanti.

Oggi paradossalmente dovremmo sancire l'inutilità di ogni evalutaion e tornare all'arbitrio della soggettività clinica, dal momento che ci troviamo a fronteggiare non un discorso ma il mero arbitrio della soggettività dominante.

UN VOLONTARIATO PER LA RICERCA

Negli ultimi anni il fenomeno del volontariato è andato sviluppandosi visibilmente. Oltre alla crisi del Welfare State, tale sviluppo è andato incentivato da un ritrovato bisogno di solidarietà oltre che da un’esigenza di realizzazione mediante servizi socialmente utili. Ma il volontariato, oltre che una necessità storica ed un imperativo etico, si presenta anche come diritto dei semplici cittadini, di essere protagonisti compartecipi nelle azioni sociali che più direttamente li rigiìuardano, come la terapia, l’assistenza, l’educazione, la cultura. L’Arips è un gruppo di ricercatori ed operatori volontari, che riafferma per tutti il diritto allo studio, alla ricerca ed alla riflessione sui maggiori problemi individuali e sociali. A fianco delle centinaia di gruppi che si impegnano volontariamente per “fare” qualcosa, l’Arips vuole essere un gruppo che si impegna nello studio e nella ricerca. È possibile tutelare ed allargare questo diritto, di fronte alle spine generalizzate verso la delega alle istituzioni specializzate, ai chierici della scienza, ai professionisti della “merce” culturale?

VOLONTA' CONTRO VOLONTARIATO

La natura mistificante e manipolativa del volontariato è ormai trasparente. Venti anni fa il diritto al volontariato sembrava un atto di impegno sociale; oggi il diritto alla volontà è tutto quello che resta
(e non per molto).

Le ragioni di una ricerca volontaria non possono più risiedere in un progetto sociale, oggi. Esse si riducono alla espressione di una volontà individuale di separatezza.

STRATEGIE PER IL PROSSIMO LUSTRO (2002-2006)

Stante l'analisi sopra presentata, ARIPS può avere ha una sola funzione nel prossimo lustro: quella di studiare. In sintesi:
  1. rifiutare ogni funzione profit (lasciata eventualmente a EGEO o ai singoli)
  2. limitare ogni funzione promozionale (solo al web e agli eventi culturali)
  3. agire una strategìa di esclusione invece che di inclusione (verso i giovani)
  4. concentrare le scarse risorse su tre sole direttrici:
  • ricerca (incontri su libri de visu o via chat)
  • sperimentazione (eventuali esperienze paradigmatiche offerteci)
  • pubblicazioni (su carta e su web)