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Il lavoro non è solo fare qualcosa per mantenersi (G.Contessa) Torna a indice

La crisi economica sta facendo passare il concetto che qualsiasi lavoro ha dignità ed è buono. Ma non è vero. Esiste un lavoro-merce-schiavitù che è tipico della condizione servile, ed esiste un lavoro-senso-libertà che è diritto dell'uomo moderno.

Da dove nasce il concetto di "diritto al lavoro" ? Per secoli il lavoro è stato un dovere: per la sovravvivenza o per la condizione di servo-schiavo. Nall'antica Grecia, il lavoro era riservato ai non-cittadini. La modernità ha trasformato il dovere in diritto, perchè ha riconosciuto il diritto naturale di ogni uomo alla soddisfazione dei bisogni primari. La terra e le risorse naturali non sono proprietà di pochi, per natura. Sono un bene di tutti per l'esistenza dignitosa di ognuno. Il furto, l'accaparramento, la sopraffazione dei pochi sui tanti hanno gradualmente sottomesso la maggioranza al dovere del lavoro servile. La rivoluzione della modernità (i Lumi e la rivoluzione francese) ha riconosciuto che, alla nascita, ogni essere umano ha diritto ad "un tetto e un campo coltivabile" o comunque una fonte di sovravvivenza da "uomo libero".

Questo diritto astratto non poteva coesistere col capitalismo nascente e dunque è stato trasformato in un "diritto al lavoro" che desse ad ognuno una casa ed un sostentamento. Di fatto, il passaggio dal diritto al tetto e al campo al diritto al lavoro ha ridotto lo status di uomini liberi. Tutta la storia della modernità industriale è la storia della lotta dei lavoratori per il recupero degli spazi di libertà compressi col diritto al lavoro. Nei due secoli di capitalismo industriale (1750 - 1970) i lavoratori hanno via via ottenuto di arricchire il concetto di diritto al lavoro con una libertà simile a quella che loro spettava col "diritto al tetto e al campo".

Seguendo il famoso schema di Maslow, gli uomini hanno una scala di bisogni che emergono a consapevolezza gradualmente. Alla base della scala ci sono i bisogni fisiologici (mangiare, bere, dormire, riprodursi), che sono soddisfatti da sempre, anche dal lavoro servile. Gli schiavi, i servi della gleba, i miserabili hanno sempre ottenuto una certa soddisfazione dei bisogni primari, se non altro perchè continuassero a lavorare. Quando il diritto al lavoro si limita alla soddisfazione dei bisogni primari, non si distingue dal dovere al lavoro della condizione servile.

Le lotte dei lavoratori nella modernità si sono dapprima concentrate sulla soddisfazione dei bisogni al secondo gradino della scala di Maslow: la sicurezza. L'uscita dal lavoro servile richiede che sia soddisfatto il bisogno di poter soddisfare i bisogni fisiologici non solo oggi, ma anche domani e dopodomani. Da qui derivano le conquiste del diritto alla difesa del posto di lavoro, al lavoro in orari circoscritti, alla salubrità e sicurezza del lavoro, della pensione e della retribuzione nei casi di malattia, infortunio e gravidanza, di un salario che consenta il risparmio. Le lotte per il secondo gradino della scala sono durate quasi due secoli.

Dal primo dopoguerra, anche grazie allo sviluppo della società industriale, si è sviluppata la lotta per diritto ad un lavoro che soddisfacesse il bisogno del terzo gradino della scala di Maslow: la socialità. Con la Scuola delle Human Relations, i dopolavoro, i sindacati, si è posto l'accento sul diritto ad un lavoro capace di soddisfare il bisogno di appartenenza, di relazioni umane stabili e dignitose, di solidarietà.

L'accelerazione dello sviluppo economico ha portato, nel secondo dopoguerra, ad una nuova fase di lotte per la soddisfazione dei bisogni del quarto gradino della scala di Maslow: l'autonomia. Le grandi organizzazioni produttive hanno lanciato progetti che consentivano al lavoro dipendente sempre maggiori spazi di discrezionalità, autonomia, responsabilità e creatività. Il concetto di auto-imprenditorialità si è diffuso largamente: le piccole imprese e le professioni sono proliferate. Negli anni ottanta e novanta, il lavoro dipendente è stato molto vicino a quella condizione di libertà e dignità che era insita nel concetto di un diritto naturale al "tetto e al campo" di ogni uomo libero.

Verso la fine degli anni novanta è iniziata la crisi del capitalismo, dell'industrialesimo e del lavoro dell'Occidente (che abbiamo già analizzato in altri contributi). In circa 20 anni il lavoro ha visto ruzzolare verso il basso della scala di Maslow i bisogni che era in grado di soddisfare. Oggi siamo tornati all'idea di lavorare per sopravvivere: come nell'epoca precristiana, nel medioevo e nel rinascimento.

Il lavoro occupa un terzo o quarto del tempo della nostra esistenza. E' l'attività più continuativa ed impegnativa che svolgiamo nell'arco di una vita. Perciò è anche una potente agenzia educativa: contribuisce con la famiglia, la scuola, il tempo libero a plasmare la persona che siamo. Un lavoro-merce-servile rende quasi impossibile il nostro cammino di esseri umani liberi.

Il lavoro deve consentirci di avere quello che ci offrirebbe il diritto naturale al tetto e al campo. Il sostentamento, la sicurezza del domani, le relazioni di vicinato, l'autonomia di operare come preferiamo, la espressione di noi. Se un lavoro non offre tutto questo non è un lavoro, ma una servitù. Allora, meglio nessun lavoro che un cattivo lavoro.