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REGRESSIONE? (M.Sberna) Torna a indice

Non c’è rivista, quotidiano o trasmissione televisiva che non abbia una rubrica dedicata alla cucina. Così come non c’è città o piccolo borgo a cui manchi la sagra di qualcosa di commestibile.
Il Ministero delle politiche agricole alimentari  e forestali ha moltiplicato in questi ultimi anni le sigle che garantiscono la qualità e la genuinità dei prodotti: DOP, DOC, IGP, IGT, DOCG,…..
Segno che siamo più ricchi e raffinati, risultato del “boom economico” che dopo la seconda guerra mondiale ha risollevato lo standard di vita dei cittadini italiani?
Persino gli  psicologi, avventurandosi in territori poco conosciuti, parlano di cultura del benessere, forti anche della definizione dell’OMS che evidenzia sia l’aspetto fisico che quello psichico della qualità della vita.
D’altronde già Maslow aveva indicato fra i bisogni primari quello di alimentarsi, per sostenersi e sopravvivere. Se la ricchezza offre maggiori disponibilità, perché non migliorare la qualità di ciò che mangiamo? Il cibo non è solo essenziale per la sopravvivenza, ma è anche motivo di piacere, fatto estetico. Arricchire le modeste pietanze di una volta o sostituirle con altre più raffinate, preparate con  ingredienti ricercati, è diventata un’abitudine quotidiana e nei casi estremi una sorta di “status simbol”. Gli stessi piatti poveri vengono nobilitati entrando a far parte di diete speciali e salutiste che valorizzano la tradizione e spesso svuotano il portafoglio.
Una buona parte del nostro tempo trascorre in racconti di cene e di ricette fatti con tale dovizia di particolari da diventare stucchevoli.

In tutto l’Occidente si evidenziano conseguenze preoccupanti di questo stato di cose: fenomeni come l’obesità, la bulimia, l’anoressia; i centri feetness, sono sintomi di particolari problematiche individuali o testimonianza di quanto l’apparenza inganni? In effetti pare che in questi eventi e nella loro frequenza ci sia qualche stonatura o incongruenza. Dato il tipo di sintomo – il cibo – su cui si focalizza in misura eccessiva l’attenzione individuale e collettiva,  la causa potrebbe essere la regressione allo stadio orale.

Riprendiamo Maslow. La sua teoria si fonda su una scala di bisogni ordinati in rapporto alle esigenze individuali e all’urgenza della sopravvivenza. L’assunto di base è che via via che i bisogni vengono soddisfatti, ne emergono altri più sofisticati e complessi, che rispondono ad esigenze sempre più intellettuali, immateriali, astratte. Nessun bisogno si estingue completamente a causa delle caratteristiche umane e della natura in generale. Ma una volta raggiunta la sicurezza rispetto alle possibilità di soddisfazione di quel particolare bisogno, diventa urgente dedicarsi ad altro che nella scala sta in un gradino successivo e superiore. Più si sale più il bisogno riguarda la sfera immateriale della vita dell’uomo. Salvo che non accada un qualche evento traumatico, personale o collettivo, che provoca una regressione. Così se una famiglia passa dal lusso all’indigenza, i bisogni primari tornano alla ribalta distogliendo le energie che in precedenza venivano dedicate per esempio alla realizzazione professionale. Se un terremoto distrugge una città occorre ricostruirla prima di pensare ad altro.
In ogni società si verificano episodi di questo genere che interrompono il flusso naturale della vita, l’evoluzione culturale e lo sviluppo della società. Ma ciò caratterizza l’esistenza di una percentuale modesta di esseri umani, anche considerando soltanto la parte del pianeta indicata come Occidente, che è più ricca e più agiata. Se però la situazione si modifica radicalmente, cioè se queste percentuali aumentano in maniera esponenziale, è probabile che si tratti di una situazione patologica o almeno problematica. 

Nello sviluppo infantile la “fase orale” è una tappa essenziale per la maturazione libidica  da cui dipendono le attitudini psicologiche e relazionali globali. E’ il primo momento evolutivo ed è collegato ai bisogni biologici che fanno della bocca e delle labbra il centro dell’universo come “veicoli” dell’alimentazione. L’attività della nutrizione è il fondamento della relazione col mondo esterno rappresentato in quel  periodo dalla madre con cui si vive in simbiosi.
Dal punto di vista psicologico le caratteristiche di questo momento sono l’avidità, il desiderio di soddisfazione immediata, la passività ed il bisogno di dipendenza.
Non pare possibile che le esperienze infantili di un popolo – quello italiano, volendo ulteriormente restringere il bacino di riferimento – siano state per tutti così negative e traumatiche da ipotizzare un arresto generalizzato dello sviluppo caratterologico a queste  attitudini. Se si estendesse questa ipotesi a tutto l’Occidente, sarebbe ancora più inverosimile.
“A tali attitudini si può peraltro regredire quando la personalità adulta, per motivi contingenti di carattere submorboso o morboso, è portata a deflettere dal raggiunto livello di maturità, regredendo in modo più o meno accentuato e più o meno diffuso e persistente, ad  attitudini di ordine ‘immaturo’.” (M.De Negri “Lezioni integrative di Neuropsichiatria infantile” – Piccin Ed. 1974 Pd, pag. 200).
Possibile che si tratti di una nevrosi collettiva? L’ipotesi della regressione rimanda ai meccanismi di difesa che costituiscono il sintomo della nevrosi.
Nei nostri tempi si dice spesso che tutti siamo un po’ nevrotici, ma di solito il fenomeno si evidenzia con comportamenti diversi a seconda dell’individuo, della sua esperienza di vita, della sua formazione culturale. Nel nostro caso invece i comportamenti sono fra loro simili, tanto da diventare quasi un fenomeno sociale. Le ricerche che hanno coinvolto persone con disturbi a carattere alimentare, come l’anoressia e la bulimia, hanno evidenziato caratteristiche di personalità simili che “predispongono”  a questo tipo di malattie:

  • scarsa autostima
  • scarsa fiducia in sé stessi
  • scarsa consapevolezza delle proprie emozioni
  • perfezionismo
  • tendenza ad estremizzare.

Ora esistono case di cura, protocolli per la diagnosi e strategie terapeutiche per affrontare il problema, il che dimostra che non si tratta di casi eccezionali.
Stessa cosa accade con gli obesi per i quali sono state ideate e sperimentate soluzioni chirurgiche che risultano efficaci.
Tutto questo può essere considerato come la spia che dà un allarme.
Quali sono i motivi contingenti a carattere morboso che potrebbero aver scatenato la regressione generale allo stadio orale?
A ben guardare, l’insicurezza pervade ogni espressione vitale, concretizzandosi in una paura diffusa che di volta in volta cambia oggetto rimanendo però sentimento costante nel tempo. Si può trattare di terrorismo, di delinquenza “nostrana”, di malattie; oppure di diffidenza nei confronti di chi è diverso da noi – per il colore della pelle o per le presenze sessuali; o ancora di enfasi attorno ai sistemi di sicurezza da quelli antincendio, alle certificazioni “a norma” sui giocattoli, alle etichette sugli abiti, per arrivare alla privacy.
Non tutto per forza è sbagliato, ma l’interesse pare eccessivo.

Siamo immaturi e deboli e per questo concentrati su noi stessi. Siamo narcisisti. L’imperativo categorico è dunque proteggerci e salvaguardarci da qualsiasi pericolo esterno: praticamente quasi da tutto. Ma ciò che dovrebbe servire a rassicurarci in realtà aumenta il nostro sentimento di insicurezza perché ci rendiamo conto che potrebbe ritorcersi contro di noi. A diversi livelli di coscienza, pensiamo che abbiamo troppo da perdere e che la nostra libertà è sempre più circoscritta.
O forse la nostra civiltà sta morendo e nell’incertezza del domani non troviamo il coraggio e le forze per affrontare in modo adulto e responsabile la situazione.
Crediamo che la passività sia una strategia efficace per mantenere in vita un sistema obsoleto. Rinunciamo ad utilizzare le nostre potenzialità perché temiamo il cambiamento, ma facciamo un vanto della nostra arroganza. Al punto di fare delle guerre per esportare la nostra democrazia che in realtà è agonizzante.
La facilità dei collegamenti e dei mezzi di comunicazione e di scambio, tipica della nostra epoca, rende impossibili  l’ignoranza ed il confronto con la realtà. Non sono più pochi privilegiati a conoscere il mondo ed i suoi popoli. Non solo il turismo è ormai un fenomeno di massa, ma l’immigrazione ed il nomadismo dei popoli portano a casa nostra persone, usanze e culture che rendono sempre più difficile giustificare le nostre pretese di supremazia.
Non riusciamo a sostenere neppure l’ansia che ci provoca  chi esercita su di noi  una qualche forma di potere e mettiamo in atto comportamenti di dipendenza che esplicitano la difficoltà a stabilire rapporti paritari. Spesso siamo talmente ossequiosi da risultare servili.
Gli sforzi e le energie  che utilizziamo per trattenerci  e censurarci –per non offendere nessuno che possa rivalersi su di noi- ci lasciano spossati e privi  di forze: per questo mangiamo tanto! Per questo dedichiamo tanto tempo all’arte dell’alimentazione.
Somatizziamo o sublimiamo. 
Siccome ci sentiamo morire, regrediamo ad un bisogno primario, elaborato e raffinato così da parere adeguato ad un adulto. Purtroppo siamo ambivalenti. Così alterniamo eccessi alimentari ad altri opposti –per esempio digiunando- per acquietare sensi di colpa derivanti dalla nostra insicurezza. Confusamente consapevoli che dovremmo difendere la nostra integrità e realizzare le nostre potenzialità.
Oltre al processo di identificazione, in questo percorso è coinvolto anche il Super-Ego in quanto funzione  di interiorizzazione delle norme. Come quando eravamo bambini, le regole sono esterne e ci mantengono in una situazione di dipendenza. Così lo Stato si impadronisce di spazi un tempo destinati al libero arbitrio. Per esempio, periodicamente c’è qualche Ministro che lancia l’idea di creare una “normativa” rispetto alle porzioni che i ristoratori devono servire; o alle misure ideali delle modelle;  o rispetto alla ginnastica da svolgere quotidianamente. A quando le telecamere nelle nostre case per controllare che non rubiamo la marmellata?
Diverse sono le interpretazioni di  questo comportamento dello Stato:

  •          invasione di uno spazio privato
  •          meta-comunicazione di incapacità di autogestione per minare alla base la nostra autostima
  •          prevenzione di problemi futuri (per non appesantire per esempio i costi dell’assistenza sanitaria).

Pare che così il cerchio si chiuda: siamo immaturi e fragili e riceviamo continuamente messaggi che confermano questa nostra percezione. Così non riusciamo ad agire secondo i nostri desideri che per questo reprimiamo. Questo fallimento provoca la regressione che cerchiamo di negare “abbellendone” i sintomi.

Forse ci salverà l’impoverimento economico  che qualche vate travestito da economista preannuncia per il nostro futuro.