1. LA COMUNITA SOLIDALE
Se
noi prendiamo un qualsiasi dizionario della lingua italiana
e cerchiamo la parola SOLIDARIETÀ, troveremo
questa definizione:
IL
VINCOLO DI INTERDIPENDENZA CHE UNISCE TRA LORO DETERMINATI
SOGGETTI O PARTI DI UN MEDESIMO SOGGETTO; IN PARTICOLARE,
LINSIEME DEI LEGAMI AFFETTIVI E MORALI CHE UNISCONO
LUOMO SINGOLO ALLA SOCIETÀ DI CUI FA PARTE, E QUESTA
CON LUI.
VINCOLO
DI INTERDIPENDENZA
Ciò
significa che ciascun individuo percepisce i propri comportamenti
non come assoluti, ma come influenzati, dipendenti, condizionati
(e viceversa) da quelli degli altri. Cioè, linterdipendenza
diventa VINCOLO se ci sente appartenenti ad un campo
psicologico: gruppo, organizzazione, comunità. La
si abita se e solo se si riconosce che il proprio mondo
interno non è un nucleo compatto e singolare, ma un insieme
di elementi e regioni il cui funzionamento non è molto differente,
anzi direi , speculare a quello sociale.
Una
comunità dunque può essere solidale se:
- non
è semplicemente un territorio, ma un insieme di norme
e risorse che presentano una storia
- quella
dentro di noi trova un oggetto esterno dove attualizzare
il proprio sentimento di pluralità (identificazione)
LEGAMI
AFFETTIVI
La
solidarietà si attualizza se nella comunità viene riconosciuta
la Sovranità della Legge. In quanto Norma ma soprattutto
in quanto Legame.
Non
basta la Legge il cui scopo è regolare comportamenti e rapporti
che altrimenti sarebbero dominati dalla sola natura. Poiché
la Legge in quanto materializzazione del codice paterno,
oggettivazione del Super Io, dispositivo di controllo e
mutilazione dellinvadenza dellEs, non è condizione
sufficiente perché la qualità del Legame tra i cittadini
sia stretto e solidale.
Il
Legame come sovranità del plurale sul singolare è il fondamento
della comunità.
Parafrasando
E.Jaques, la legge è una risposta alla ansie persecutorie
e depressive, perchè la libertà naturale popola i sogni
(di individui e collettivi) di nemici e soffoca la vita
col sentimento di colpa.
La
qualità e la necessità di una Legge si fondano su un LEGAME,
una relazione di tipo psicologico. Ciò rimanda alla SOGGETTIVITA
e al VISSUTO, al vincolo di interdipendenza tra individuo
e comunità.
.E
MORALI
Il
legame non è solo psicologico, ma anche morale.
Essere
generosi (oblatività) e fare bene il proprio mestiere (operosità)
sono principi basilari della morale comunitaria (e non solo).
La derivazione linguistica del termine comunità da cum
munus (nel doppio senso di doni e doveri) insieme
a cum moenia (un territorio con confini e difese)
ne è testimonianza.
La
comunità come campo di relazioni oblative, dove essere generosi
significa, donare, darsi, contribuire senza contropartita
diretta. Anche se in realtà la contropartita cè, sia
pure indiretta. Donare alla comunità significa arricchire
il con-testo della propria esistenza e dunque investire
in qualcosa che ineluttabilmente mi verrà restituito. Partecipare
dunque ad uneconomia del benessere e del valore duso!
Assumere
i propri doveri significa essere responsabili. Significa
rifiutare la logica persecutoria o depressiva, in favore
di una logica di scambio e costruzione.
Solo
a queste condizioni la comunità diventa un con-testo, invece
di restare semplicemente uno SFONDO. La sola esistenza di
elementi strutturali e obiettivi, senza un vissuto di appartenenza,
non fa una comunità. La comunità che vorremmo abitare è
un contenitore psichico, un organismo collettivo composto
da elementi il cui assemblaggio costituisce qualcosa di
diverso della pura somma dei componenti.
In
questo senso la comunità è ISOMORFICA allindividuo.
Cosa
è la psiche se non un arcipelago mutante, unassemblea,
un microcosmo, una repubblica degli affetti, in divenire.
La comunità e lindividuo sono una polis, una moltitudine,
un collettivo con regole specifiche, costituite da parti
capaci di influenzarsi a vicenda. Non è forse un caso che
città, moltitudine, lotta abbiano in greco la stessa matrice
linguistica (pol-).
Ma
oggi le Comunità oggi soffrono di seri problemi di connessione/integrazione
fra le parti. Una patologia speculare ai disturbi di connessione/integrazione
fra le regioni intrapsichiche e tra queste e lesterno
che colpisce lindividuo. I rapporti faccia a faccia
che davano maggiore qualità alle comunità rispetto a quelli
anonimi della società, sono spariti sotto il dilagare di
un anonimato di tipo urbano.
Droga,
criminalità, disoccupazione sono ormai un fenomeno equidistribuito
fra le metropoli, le periferie e le piccole comunità.
LA
EPOCALE FRANTUMAZIONE DELLE SOGGETTIVITÀ INDIVIDUALI HA
UNA SUA SPECULARE PROIEZIONE NELLA DISARTICOLAZIONE DELLE
COMUNITÀ.
2.
FENOMENI PROBLEMATICI DI COMUNITA
Oggi
in ogni comunità devastata da una catastrofe, il sentimento
più diffuso è la PAURA: del nemico, del contagio, dellestraneo.
Il fatto è che il cerchio perverso della sicurezza risulta
vistosamente ristretto allappartamento, e qualche
volta alla propria camera (come testimoniano gli aumentati
casi di stragi familiari).
La
paura è aspecifica, generalizzata, metafisica e si concretizza
via via in ogni oggetto che abbia una parvenza di eterogeneità.
Ogni diversità è percepita come potenziale conflitto, ed
ogni possibile conflitto è percepito come mortale: di qui
la paura e lorrore. I casi più vistosi riguardano
le minoranze etniche, ma questi non sono nemmeno i più diffusi.
La paura
riguarda il vicino di casa che ha diverse opinioni; il collega
di lavoro che non condivide un progetto; il conoscente
vestito in modo strano. Il potenziale conflitto non viene
affrontato e simbolizzato, ma evitato mediante continui comportamenti
nevrotici: fuga, sottrazione, evitamento dellaltro,
del diverso, delleterodosso. Oppure il conflitto viene
negato con periodici rituali ossessivi di fusione: allo stadio,
nelle discoteche, nelle manifestazioni di piazza, nel turismo
di massa. Lorrore per la differenza è tale
che non viene demonizzata solo allesterno, ma è repressa
anche nel mondo interno. Lo sforzo costante è quello di negare
la propria individualità mediante pratiche anestetiche, consolatorie,
rassicuratorie, autopunitive, omologanti. Quando il nemico
esterno scarseggia, è la paura di sé a diventare centrale.
Allora ogni sforzo viene dedicato allautorepressione,
allautoflagellazione, alla dissimulazione. Gli abitatori
della comunità devastata vivono nellombra, in costante
allarme, tesi continuamente a mimetizzarsi, disposti
a mutilarsi, per via chimica (droghe e alcol) o chirurgica
(plastiche e piercing) per non distinguersi. La diversità
individuale che, malgrado tutto, tende a dimostrare la sua
irriducibilità, si esprime attraverso pratiche rischiose,
pericolose, azzardate che non di raro esitano in forme di
suicidio dissimulato: gli sport estremi, i massacranti rave
parties, il gioco dazzardo.
La
comunità manifesta una pervicace negazione dellevidenza,
costruendo unimmagine di sé del tutto allucinata.
Il dichiarato nelle scuole, nei servizi socio-sanitari,
negli enti locali, nelle associazioni è che la loro comunità
e quella immediatamente circostante sono il migliore dei
mondi possibili. La più feroce e distruttiva competitività
viene negata e soffocata da slogan inneggianti la cooperazione
e il lavoro di rete.
Apparenza,
dichiarato e illusioni non hanno alcun riscontro nella realtà.
Nessun
test di realtà riesce a contenere questa posizione schizoide.
Naturalmente,
quando la crisi è profonda e la comunità di autoassolve,
occorre trovare un colpevole allesterno. Ogni parte
della comunità disloca il negativo sulle altre: la scuola
funziona male a causa della famiglia; la famiglia è in crisi
a causa delle famiglie vicine; i servizi sono messe in difficoltà
dallAssessorato. E la comunità nel suo complesso
disloca il negativo sulle comunità limitrofe o sui soprasistemi:
nessun Comune collabora con i Comuni vicini; tutti i problemi
della comunità dipendono dalla Provincia, dal Governo, dallUnione
Europea.
La
forza con cui la realtà è negata e il nemico esterno reso
indispensabile è tale che chiunque provi ad opporvisi rischia
la lapidazione. Chiunque facendo lavoro di comunità ha sperimentato
pratiche serie di ricerca valutativa, ricerca-intervento,
ricerca sui climi organizzativi e comunitari ha fatto lesperienza
del capro espiatorio. Qualsiasi ricerca che metta in luce
realtà sgradevoli o rischi di stimolare la consapevolezza
dei processi comunitari in atto, ha solo un esito: loblio
negli archivi più remoti e lostracismo perpetuo, quando
non la pura ritorsione, nei confronti dei ricercatori o
degli operatori responsabili.
La comunità
è anche uno scenario privo di futuro; al suo interno si aggirano
individui e gruppi il cui orizzonte è schiacciato sulle tribolazioni
del presente. Il senso di vuoto radicale è riempito con laffollamento
di impegni quotidiani dei quali nessuno è in grado di fornire
una motivazione.Tutto ciò configura un evidente quadro depressivo.
Il sintomo più evidente della depressione è la SPARIZIONE
DEL FUTURO. Di fronte alla frantumazione, la comunità
non reagisce col progetto. Lorizzonte non supera mai
lestate: non si ha notizia (se non in rarissimi casi)
di progetti a respiro triennale e tantomeno decennale. La
scomparsa del futuro è anche testimoniata dal rapporto ambiguo
con le nuove generazioni.
Ad
un trionfalistico dichiarato di amore, rispetto e valore
attribuiti ai giovani, non esiste comunità che nei fatti
non agisca ogni tipo di ostacolo, vessazione o tirannia
verso le nuove generazioni. La pseudo-nutritività che estende
la giovinezza fino ai 35 anni non è in realtà che una punizione
per la colpa dei giovani di abitare il futuro.
Le
comunità soffocano i giovani con la retorica di un amore
perverso, che impedisce loro di avere una casa, una famiglia,
un lavoro, uno status di cittadino (in definitiva, unidentità
autonoma). Linfanzia, ladolescenza, la giovinezza
sono sottratte alle età corrispondenti e trascinate in avanti,
fino alla soglia dei 40 anni. Mentre gli adulti fanno a
gara a comportarsi da bambini e ragazzi, i bambini ed i
ragazzi veri vengono investiti di responsabilità, senso
del dovere, decisioni critiche.
La
sparizione del futuro è affiancato dal vuoto del presente.
Impegni,
rumori, stimoli visivi hanno raggiunto una dimensione ipertrofica,
come una gabbia esistenziale che ha il compito di sostenere
simulacri di individui non più capaci di reggersi senza
sussidi ortopedici.
La regola
è la scarsità del tempo: per parlare, per pensare, per ascoltare.Le
riunioni nelle comunità sono sempre più simili a stazioni
ferroviarie: gente che va e viene, qualcuno che non si presenta,
pochissimi che restano. Il pieno del contesto corrisponde
al vuoto dellattenzione: decine di stimoli e persone
con cui si entra in contatto ogni giorno, senza che avvenga
alcuna vera esperienza. Limpossibilità di esserci
e di essere con è un altro sintomo della depressione.La
depressione è determinista, sottomessa al destino, estranea
al costruzionismo.
3.
SETTE PRINCIPI PER IL LAVORO DI COMUNITA
Lo stato
psichico delle comunità italiane, grandi e piccole, è in condizioni
di grande difficoltà: le Comunità oggi soffrono di seri problemi
di connessione/integrazione fra le parti. Una patologia speculare
ai disturbi di connessione/integrazione fra le regioni intrapsichiche
(nevrosi) e tra queste e lesterno (psicosi) che colpisce
lindividuo.
Le
abbiamo considerate per più di 30 anni come capaci di
autoriparare i propri guasti e autosvilupparsi
in una direzione più eugenica che patogena.
In
realtà oggi ciò non vale più.
Abbiamo
usato la strumentazione della PsicoSociologia (piccoli gruppi)
e della Psicologia di Comunità (grandi gruppi e comunità)
per scoprire che queste discipline sono insufficienti e
richiedono il supporto di una visione PsicoPolitica.
E
dunque di una Strategia di Sviluppo Comunitario (a medio
lungo termine) che si fondi su alcune indicazioni di METODO
(sette), che poi devono trovare una traduzione comunità
per comunità.
1.
il principio della DE-TERRITORIALIZZAZIONE, deve
ispirare azioni finalizzate a connettere singoli e le comunità
con il maggior numero di realtà esterne. Vanno moltiplicati
gli scambi con altre comunità nazionali e estere. Deve
inoltre essere concretamente utilizzata la tecnologia telematica:
le reti civiche e il web saranno lo strumento centrale di
ogni SSC.
2.
va sviluppata la REINTEGRAZIONE dei settori; occorre
abbandonare la settorializzazione (txd, giovani, alimentazione,
hiv, etc.) e agire simultaneamente su più aspetti della
convivenza e su più fasce di popolazione. Ogni progetto
deve colpire tempo libero e lavoro; sport e assistenza,
formazione e socialità, arte ed ecologia, minori e anziani,
donne e giovani. Con il maggior numero di innesti e contaminazioni
possibili. Se per motivi formali la comunità attinge a progetti
e/o finanziamenti afferenti a normative diverse diventa
prioritario unificarli nelle fasi operative sul campo.
3.
il NUOVO VOLONTARIATO INDIVIDUALE deve essere la
base sia del ruolo di controllo politico, sia delle equipe
di intervento operativo. Gli apicali delle istituzioni e
gli operatori sociali interessati parteciperanno come singoli
cittadini. Occorre recuperare le infinite risorse individuali
inutilizzate e riattivare circuiti di scambio diretto.
4.
porre la maggiore attenzione ai singoli e ai gruppi
meno inclusi: i non utenti, i non fruitori, i non aggregati.
INCORAGGIARE I MARGINI E LE PERIFERIE. La reintegrazione
di una comunità frantumata richiede la massima distribuzione
della leadership e linclusione del maggior numero
di soggetti non connessi. Lelite (professionale
e volontaria) tradizionale non va penalizzata, ma deve essere
aiutata ad assumere un carattere generativo e promozionale,
invece che esclusivo.
5.
accentuare la dimensione del FUTURO e del PROGETTO;
una SSC è un cammino verso lignoto, non la gestione
dellordinario. La frammentazione ha compromesso le
funzioni di integrazione dellidentità comunitaria,
riducendo le capacità di proiezione nel futuro, di immaginazione
e di progettualità di sistema. Occorre lanciare gare di
idee sul futuro, effettuare ricerche DELPHI (metodo di ricerca
sociale basato su interiste circolari a testimoni esperti,
focalizzate sulle previsioni del futuro), realizzare simulazioni
profetiche
6.
il principale criterio di valutazione di unazione
di SSC deve essere la QUANTITA di CONNESSIONI tra
PERSONE che favorisce. Un sistema è definito non dai suoi
sub-sistemi, ma dalle relazioni fra questi. Sono i legami,
le sinapsi, le connessioni che decidono della qualità di
un insieme.
7.
infine una SSC è un cammino di trasformazione intenzionale.
Ciò richiede costanti AZIONI DI RIFLESSIVITA di tutta
la comunità. Linsieme in cammino deve monitorarsi,
valutare la sua posizione e il suo movimento, interrogarsi
su sé, costantemente. In pratica questo richiede una periodica
analisi dei processi a partire da una solida base di dati
informativi. Ricerche di sfondo, monitor degli indicatori
cruciali, termometri del clima sociale, valutazioni di efficacia
sono attività essenziali alla SSC.
*
da Convegno GRUPPI E RETI DI CURA NEL SOCIALE - Metodologie
e pratiche di intervento nelle relazioni di aiuto - UDINE
16-17 Novembre2005
Le idee e le opinioni che incontrate in questa relazione
appartengono alla riflessione culturale del gruppo di professionisti
dellimmateriale che si riconosce in ARIPS.
In particolare due sono gli scritti ai quali mi sono ispirato:
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