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La fabbrica dei frustrati di Guido Contessa Torna ad indice


Anni fa girava uno slogan ottimista. "Tutti gli americani possono diventare Presidente degli Stati Uniti". Poi qualcuno ha fatto notare che di Presidenti ce n'e' uno ogni 4 o 8 anni, che per diventare Presidente ci vogliono miliardi di dollari e che gli Usa hanno proporzionalmnete piu' homeless dell'India.

Malgrado ogni evidenza, la retorica secondo cui inseguire il proprio sogno con tenacia e ostinazione porta di certo a realizzarlo, ha pervaso ogni piega del mondo occidentale. La parola "sogno" ha perso gradualmente il suo originario connotato di eccezionalita' e viene usata anche per il piu' banale dei progetti e desideri. E' un sogno cantare in tv, vedere il papa da vicino, aprire un chiosco di gelati, visitare New York, assistere a un concerto della pop star, trovare un partner. Non c'e' piu' telegiornale, trasmissione televisiva, giornale o predicatore che non ripeta come un mantra le parole: "insegui il tuo sogno ad ogni costo", "non mollare mai", "se insisti ce la farai", "la tenacia sara' premiata". Risultato: intere generazioni di falliti e frustrati.

Nel secolo scorso, prima della scomparsa delle lucciole e prima che la merda entrasse nel ventilatore, chi voleva diventare ballerina veniva scoraggiata da anni di scuola, una severa selezione meritocratica, avvertimenti alla prudenza da parte di tutta la famiglia. Oggi la madre iscrive la figlia alla scuola di ballo del dopolavoro, la fa partecipare a due gare di ballo del paese e infine riesce a farla sgambettare in tv. "Ho realizzato il mio sogno" dice candidamente alla telecamera, ignara che finira' per fare la barista, la commessa o la escort.

Nel secolo scorso, prima della scomparsa delle lucciole e prima che la merda entrasse nel ventilatore, chi sognava di fare il calciatore doveva dimostrare un grande talento, militare per anni in squadrette da oratorio, promettere alla famiglia di proseguire gli studi. Oggi i padri trascinano i figli alla scuola di calcio locale, dalle quali 1 passa direttamente alla serie A e magari alla nazionale, e 999 finiscono in tornei dell'ultima divisione, senza dimenticare pero' di "avere realizzato un sogno".

Nel secolo scorso, prima della scomparsa delle lucciole e prima che la merda entrasse nel ventilatore, il giovane che voleva diventare cantante, musicista o attore veniva scoraggiato da tutti, doveva studiare per anni, doveva dimostrare per anni di avere talento facendo anni di gavetta in localini di serie C, e infine "uno su mille ce la faceva". Oggi chiunque puo' svegliarsi una mattina col "sogno" di diventare cantante, musicista o attore; fa un tentativo al ristorante sottocasa o sul palcoscenico della scuola media, e, se non viene picchiato subito, coltiva il "sogno" facendo una comparsata televisiva. Dopo dieci minuti di apparizione in video, coglie l'occasione per esclamare con pathos: "Ho realizzato il mio sogno".

Questa retorica ottimista del sogno e della tenacia e' la stessa che sta alla base della ludopatia e delle vite spezzate dal gioco. Il giocatore compulsivo e' il primo seguace della filosofia "ho il sogno di fare quattrini e, se mi gioco tutto, alla fine diventero' ricco".

Questa sorta di egualitarismo straccione si basa sull'idea che tutti possano fare tutto, basta che lo vogliano. Chi scrive ha "sognato" per tutta l'infanzia di diventare Einstein, ma per fortuna ha incontrato qualcuno che gli ha fatto presente che era una bestia in matematica. Questo duro giudizio mi ha spinto a scegliere un'altra strada ed mi ha impedito di sentirmi un fallito. Perche' se tutti possono fare qualsiasi cosa, basta che lo vogliano intensamente, avrei potuto vivere come una mia colpa il fatto di non essermi nemmeno avvicinato ad Einstein. Ed e' proprio il senso di colpa che assale tutti coloro che non arrivano a realizzare il loro "sogno", presentato da tutti come a portata di tenacia.

La bufala che il sogno perseguito con tenacia si realizzera' finge di non sapere nulla di due fattori indispensabili. Il primo e' la necessita' del merito, che discende dall'impegno e dal talento in parti uguali. Se vuoi perseguire un sogno devi prima chiederti se hai le qualita' necessarie. Gli esseri umani non sono affatto tutti uguali, semmai sono equivalenti. Hanno lo stesso valore, ma hanno capacita' e propensioni diverse. Se hai talento, devi anche impegnarti. Ma impegnarti senza talento non serve a nulla. Il secondo fattore e' la necessita' della meritocrazia. Se hai talento e ti impegni, devi anche vivere in una societa' che metta al centro questi valori.

La nostra societa' non riconosce il merito perche' sa solo provare invidia per il talento e considerare l'impegno come qualcosa di noioso. Ma soprattutto la nostra societa' mette il merito dopo la clientela, la parentela, lo scambio di favori. In questa situazione, l'insistenza sul perseguire il sogno con tenacia e l`ottimismo verso il successo assicurato, crea milioni di frustrati che perdipiu' si sentono in colpa per avere fallito.