Non è un discorso nuovo. Spesso ci è capitato di parlare
di questo argomento, modificando via via il nostro approccio
inizialmente fiducioso ed ottimista. Fin dalla sua fondazione,
e prima che se ne parlasse formalmente nelle Istituzioni
deputate al controllo, l’ARIPS ha ritenuto essenziale la
qualità e la verifica della stessa, benché l’area di intervento
fosse connotata dall’immaterialità e dalla soggettività.
Attività di formazione relativamente alle capacità psicologiche,
interventi di prevenzione e di Psicologia di Comunità, Ricerche-Intervento-
il nostro specifico- si connotavano per l’assenza di elementi
concreti, visibili oggettivamente da tutti in un unico modo.
Oltre vent’anni fa si ritenevano essenziali i parametri
delle cosiddette “scienze dure” e/o la quantificazione dei
risultati di una certa azione. Ma se questo era possibile
per alcuni aspetti degli interventi, non lo era per altri.
Fra le variabili del primo tipo c’erano per esempio il numero
dei partecipanti, la loro continuità e perseveranza nella
presenza, la durata degli incontri e del percorso, il setting,
i sussidi didattici utilizzati, la coerenza interna del
progetto. Ciò che era invece difficile verificare era l’apprendimento
individuale che solo in parte poteva essere controllato.
L’aspetto cognitivo, l’arricchimento delle informazioni
e delle conoscenze, non garantiva di per sé la capacità
di trasferire nella realtà i comportamenti correlati a quanto
si era imparato. Per lo sviluppo delle risorse individuali,
occorreva superare ostacoli, difese, resistenze. Questo
richiedeva spesso tempi ulteriori che consentissero l’elaborazione
e l’appropriazione profonda di tutto quanto aveva caratterizzato
l’intervento, “filtrate” attraverso la personalità individuale,
le esperienze soggettive, il punto di partenza del partecipante,
la sua motivazione al cambiamento e allo sviluppo delle
proprie competenze, la valorizzazione delle caratteristiche
personali come risorse, l’accettazione della diversità come
dimensione arricchente sia a livello individuale, che di
gruppo e di macro sistema (organizzazioni, comunità).
Fino a circa vent’anni fa la
formazione –grossolanamente definita come sopra- era accessibile
ad un gruppo ristretto e selezionato di persone interessate
a perfezionarsi, evolversi, crescere, per sé stesse principalmente,
e poi anche per chi o “cosa” gli stava intorno. Può sembrare
una situazione poco democratica. Ma in realtà non esisteva
nessun impedimento reale: chi fosse stato effettivamente
interessato poteva accedervi, forse poteva essergli necessario
qualche sforzo in più. Posso testimoniare, per esempio,
che né ARIPS né altri istituti/associazioni con la stessa
mission hanno mai negato uno sconto più o meno consistente
ad un aspirante allievo seriamente motivato. Come del resto
fanno le Università con le borse di studio. I criteri selettivi
in entrambi i casi servivano fra l’altro a mettere alla
prova la motivazione.
Questa logica élitaria è stata
attaccata alle radici prima dall’ideologia politica del
Welfare State e poi dai piani di sviluppo dell’UE (Unione
Europea) e infine dai processi di standardizzazione mondiale
(ISO / UNI EU). I motivi che hanno portato a queste scelte
sono vari. Fra quelli espliciti citiamo:
1- l’estensione
della possibilità di accesso ad un più lungo percorso di
acculturazione /istruzione;
2- la garanzia
della qualità dell’offerta.
I principi alla base di queste
“nuove” strategie non sono per forza negativi né irragionevoli.
Ma non sono neppure il meglio in assoluto e soprattutto
non garantiscono la qualità né dell’offerta né dei risultati
ottenuti. I “corsi” standard sono di poche ore (anche solo
7), hanno obiettivi raggiungibili solo in parte (perché
troppo numerosi e troppo ambiziosi rispetto all’impostazione
dell’intervento) , si svolgono usando metodologie inadeguate,
hanno sistemi di verifica degli apprendimenti per lo meno
curiosi. Ma il maggiore difetto sta nell’aver deresponsabilizzato
gli utenti-partecipanti i quali non scelgono più di fare
formazione, ma vi sono costretti per mantenere il posto
di lavoro.
Margherita Sberna
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