Sono molti quelli che si chiedono come mai in Italia, che
vive da quasi vent'anni un'esperienza di progressivo degrado,
non si vedono movimenti rivoluzionari. La stessa cosa si
registra negli Usa, e in tutta Europa. Negli anni sessanta
e settanta, quando l'impero Usa si stava installando e quando
l'Europa e l'Italia vivevano un vero boom economico, il
livello di scontro sociale era molto violento, malgrado
le condizioni di vita dei cittadini fossero molto migliori
di oggi. La rivoluzione francese, quella americana e quella
russa si sono verificate per motivi molto meno gravi di
quelli che Francia, Usa e Russia avrebbero oggi. Persino
i movimenti indipendentisti (sudtirolesi, irlandesi, baschi,
corsi) oggi sono moribondi, mentre erano vivissimi fino
agli anni Ottanta. E oggi, i motivi di separazione sarebbero
molto più forti di allora.
In questa sorta di anestesia sociale e politica giocano
un ruolo l'enorme forza economica, militare e repressiva
raggiunta dall'impero d'Occidente, e il totale asservimento
dei mass media. Ma forse esiste anche un fattore psicologico.
Quello che ci hanno insegnato a scuola (e che resta nel
pensiero dominante) è che un popolo si lancia in
una rivoluzione quando le sue condizioni esistenziali sono
al punto più basso. Il vecchio Marx invece prediceva
che la rivoluzione si sarebbe realizzata solo in condizioni
di capitalismo maturo, e forse non aveva tutti i torti.
Il capitalismo occidentale ha toccato il suo apice negli
anni Novanta, poi ha cominciato a declinare sia per motivi
interni sia per la crescita di civilizzazioni concorrenti
(Paesi asiatici e Paesi medio-orientali). Una società
in declino può produrre rivolte, proteste, esplosioni
di violenza, microcriminalità diffusa, ma non una
rivoluzione. Le rivoluzioni della cosiddetta "primavera
araba" sono avvenute nel momento di maggiore sviluppo
dei Paesi interessati, non prima. Se questa ipotesi è
vera presto registreremo rivoluzioni anche nei Paesi dell'estremo
Oriente.
Ma perchè le rivoluzioni, cioè i veri cambiamenti,
avvengono quando il benessere è a un buon livello
piuttosto che quando è inesistente? Le rivoluzioni
dipendono dalla visione del futuro. E il futuro dipende
dall'ottimismo del presente. Lo stare abbastanza bene oggi
consente di immaginare un futuro diverso e migliore. Il
malessere dell'oggi impedisce di vedere un futuro migliore,
ma lascia intravvedere solo una perenne ripetizione del
presente. Il futuro è un dono del benessere, mentre
lo stare male toglie il futuro dall'orizzonte. Il benessere
coincide anche col progetto del futuro.
In questa ipotesi ci aiuta il modello di A. Maslow. La
scala dei bisogni funziona in modo da portare a consapevolezza
un bisogno di livello superiore solo quando il bisogno del
livello inferiore è almeno parzialmente soddisfatto.
Nei tempi di benessere i bisogni (fisici) del primo gradino
della scala vengono soddisfatti, come i bisogni del secondo
gradino (sicurezza) e magari del terzo (socialità).
E' a questo punto, e non prima, che il soggetto intravvede
e progetta il futuro, sperando di poter soddisfare i bisogni
superiori (autonomia e autorealizzazione) con una qualche
forma di rivoluzione. Oggi in Occidente il bisogno di socialità
non trova soddisfazione; il bisogno di sicurezza è
negato; il bisogni primari sono minacciati.
Quindi il futuro è spento, e ogni rivoluzione impossibile.
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