La ricerca sul grande gruppo e sulle possibilità
di fare formazione di qualità in questo setting continua.
Le nostre ipotesi trovano delle prime conferme!
Recentemente è capitato di
fare un’ esperienza che è stata molto soddisfacente,
ed anche gratificante.
In questo caso si è pensato
di applicare la metodologia del T-group
ad un grande gruppo ed i risultati ottenuti sono
stati molto simili a quelli dell’età d’oro di questa tecnica,
peraltro da sempre fra quelle utilizzate da una minoranza
di professionisti della formazione. Il che ne ha fatto
uno strumento controverso, sia per gli addetti ai lavori
che per i partecipanti.
Come in altre occasioni, si
è prevista una strutturazione -
cioè una serie di esercitazioni - da introdurre
per facilitare l’apprendimento e l’evoluzione dei partecipanti.
Tutto il materiale preparato è stato utilizzato ed ha
funzionato. Pochissimi e modesti sono stati i cambiamenti
necessari.
Il gruppo ha percorso le tappe
“classiche” arrivando a costituirsi come organismo con
un buon livello di socializzazione e di partecipazione.
La dinamica della controdipendenza nei confronti dell’autorità
rappresentata dai conduttori si è sviluppata fin dall’inizio,
ma è stata espressa in maniera aperta ed esplicita dai
partecipanti il che ha permesso di gestirla come lotta
di potere che doveva sfociare in una presa di decisione.
Questo ha consentito, col supporto di esercitazioni che
hanno facilitato la conoscenza e la comunicazione, di
recuperare la dinamica della dipendenza aumentando l’attenzione
su quanto stava accadendo. Pur con fasi alterne, la collaborazione
dei partecipanti ed il loro interesse (alcuni non hanno
mai fatto le pause autogestite per fumare una sigaretta
o bere un caffè) hanno continuato ad aumentare in parallelo
con una tensione emotiva sempre presente e piuttosto elevata.
In questa esperienza di formazione
col grande gruppo abbiamo mantenuto nell’impostazione
del seminario alcune costanti rispetto a quella precedente,
proprio per poter fare un confronto, mentre altre variabili
dipendenti dalla concreta situazione, erano oggettivamente
diverse.
Se a queste due esperienze aggiungiamo quella fatta a Roma
possiamo fare un primo bilancio evidenziando cosa e perché
ha aumentato l’efficacia dell’intervento.
La prima variabile riguarda
il tempo: l’efficacia aumenta con il suo dilatarsi e concentrarsi.
Non basta cioè un tempo lungo ma diluito in numerosi incontri,
come per il corso di Roma che prevedeva sessioni settimanali
di 4 ore in 9 mesi. In questo caso, infatti, la necessità
di una fase di “riscaldamento” risulta estremamente
rallentante per l’emersione delle dinamiche, mentre un
seminario di 30 ore di lavoro concentrate in 3 giorni
consente un’accumulazione funzionale al progresso e all’evoluzione
del gruppo con minime dispersioni di energia. I partecipanti
sono per questo più "carichi" e ciò
li rende meno prudenti e censurati, facilitando il collegamento
con strati più profondi della loro personalità
ed aumentando la loro espressività.
La metodologia autocentrata
è premiante rispetto a quella eterocentrata. In pratica
l’assenza di compiti precisi e di concreti riferimenti
alla realtà quotidiana dei partecipanti gli consente
di agire più liberamente proprio perché non esiste un
modello con cui confrontarsi. Soprattutto di questi tempi,
in cui l’imitazione e l’omologazione sembrano i principi
ispiratori della vita di ciascuno, affrontare situazioni
nuove non solo significa far ricorso alla propria creatività,
ma anche lasciarsi liberi di scegliere e di agire senza
paura di conseguenze spiacevoli. Anzi chi esplora nuove
modalità diventa un esempio per gli altri membri del gruppo
e dunque acquisisce maggiore sicurezza ed autostima anche
dovesse commettere errori, cioè scoprire che i suoi comportamenti
non sono funzionali agli obiettivi che si proponeva di
raggiungere.
Questa impostazione ha inoltre
il pregio di restituire la sovranità a ciascuno che può
da una parte auto-determinarsi e dall’altra tener conto
degli altri a loro volta liberi di esprimere il loro potere.
Importanti sono anche lo stile
di intervento del conduttore del gruppo e le modalità
con cui gestisce il suo ruolo “non” pedagogico. Gli interventi
di formazione
hanno come caratteristica di non richiedere ai partecipanti
un prodotto finale concreto, e questo libera dall’obbligo
di acquisire conoscenze prestabilite: ognuno può fare
il suo percorso che si diversifica anche a causa delle
esperienze e degli apprendimenti precedenti. Così gli
stessi punti di arrivo sono differenti. Ciò che è determinante
per questo tipo di apprendimento è che esso passi attraverso
l’emotività e che sia una sintesi di azioni realizzate
e di riflessioni/sentimenti su di esse e da esse scatenati.
Dunque il contributo del conduttore perché questo avvenga
sta nel mantenere alto il livello di energia/eros nel
gruppo attraverso interventi che nella modalità o nel
contenuto siano emozionati ed emozionanti. A volte questo
significa deludere le aspettative dei partecipanti, a
volte astenersi dal parlare privilegiando la metacomunicazione,
a volte enfatizzare il proprio ruolo con comportamenti
estremi che scatenano la reazione dei partecipanti.
In ogni caso rispettando i
principi teorici e metodologici della formazione senza
preoccuparsi del gradimento immediato da parte dei partecipanti.
La sintonia fra i conduttori
senza sacrificare la loro connotazione specifica, è vitalizzante
in questo contesto: evita la prevedibilità delle
reazioni e mantiene alta la tensione.
Tutto questo mette in gioco
il partecipante in prima persona e quindi la sua motivazione
all’apprendimento. Senza essa non esiste alcuna
possibilità di crescita e di evoluzione. Può essere la
risposta ad una mancanza, un bisogno; oppure può scaturire
da un desiderio, da una ricerca di benessere. In entrambi
i casi richiede uno sforzo ed un impegno che sono più
facili da accettare o rifiutare se le tecniche attraverso
le quali si apprende sono dirette e chiare e se si evita
l’utilizzo della manipolazione. In ogni percorso di formazione
il risultato finale non è merito o fallimento esclusivi
del formatore, ma frutto degli sforzi di entrambe le parti.
Poiché stiamo parlando di un percorso finalizzato ad aumentare
capacità di tipo psicologico, la corresponsabilità è ancora
più evidente ed essenziale. Essere presenti ed ascoltare
non è sufficiente per imparare. Occorre vivere
partecipando attivamente a quanto viene proposto e riflettere
su quanto accade.
Nelle esperienze di grande
gruppo a cui ci riferiamo la “qualità” dei partecipanti
era diversa non solo per l’unicità caratteristica di ogni
essere vivente, ma anche per la “posizione lavorativa”
in rapporto al senso di responsabilità. In un caso si
trattava di volontari, in uno di membri e soci di cooperative,
in uno di dipendenti di un’istituzione. La motivazione
all’apprendimento parrebbe collegata – a parità di altre
condizioni – con l’importanza che si dà al rapporto fra
la propria azione individuale e l’esistenza del contesto
collettivo/gruppo in cui si è inseriti.
La videocamera che riprende ma non registra resta uno strumento
la cui utilità – per i partecipanti ed il loro apprendimento
– non è ancora chiara. Dopo un primo stupore e qualche rimostranza,
tutti se ne dimenticano nel senso che non paiono limitati
da essa né dichiarano che ciò succeda. Resta il dubbio
se però provochi un effetto sul narcisismo individuale e
collettivo e risulti uno stimolo importante per la motivazione.
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