Prefazione al volume CIVES
- Legalità, Democrazia, Non violenza
(vedi)
Questo volume è il frutto di un lavoro iniziato
circa 6 anni fa, quando ARIPS ha deciso di partecipare ad
una gara d'appalto per la realizzazione di un progetto PIC-Urban
dedicato alla realizzazione di un Centro per l'Educazione
alla legalità, non violenza e democrazia. Ma questi
temi e l'area della Psicologia di Comunità e della
Psicologia Politica fanno parte della storia dell'Associazione
fin dalla fondazione.
L'occasione è stata preziosa per mettere a confronto
vent'anni di pratica con i modelli teorici sui quali essa
si fondava e per fare i conti con i cambiamenti culturali
e sociali attuali e la trasferibilità dei modelli
nella quotidianità.
Quando ARIPS è stata fondata uno degli obiettivi
era farne un centro studi che si occupasse di argomenti
che per qualche motivo erano "di frontiera": nuovi,
poco esplorati, difficili da indagare e insieme che necessitavano
di procedure e strumenti innovativi per essere affrontati.
Questa scelta non era forse molto remunerativa dal punto
di vista economico, ma consentiva la massima libertà
dai condizionamenti del mercato professionale: l'associazione
si sarebbe impegnata solo nei settori e nei progetti che
avrebbe ritenuto significativi per le sue strategie di studio
e di ricerca. Forse influenzati dal momento storico in cui
vivevamo (era il 1978 e si erano appena conclusi gli Anni
di Piombo), ci concentrammo su quello che chiamammo il "senso
di morte delle organizzazioni". Definivamo così
quel processo ricorrente, ed apparentemente ineluttabile,
per cui ogni aggregazione umana, dopo una fase iniziale
di "stato nascente" - come lo definisce F. Alberoni
- o si disgrega o si istituzionalizza. La disgregazione
coincide con la morte dell'organizzazione, segnata da scissioni,
fughe, conversioni e tradimenti. Al contrario l'istituzionalizzazione
consente la sopravvivenza e lo sviluppo dell'aggregato,
ma si fonda sulla "morte" (emarginazione, repressione,
rimozione) di alcuni dei più radicali bisogni soggettivi
come la socialità, l'autonomia, la creatività.
La conclusione di un tragico e doloroso periodo di vita
del nostro Paese ci faceva sentire i prodromi di un'evoluzione
che non poteva che essere in meglio, tesa al recupero di
alcuni valori sui quali si basa la convivenza, e all'innovazione
rispetto a modalità logore che sacrificavano i legittimi
desideri e le aspirazioni dei cittadini. Credevamo che gli
"anni di piombo" avessero segnalato un malessere
generale che, cavalcato scorrettamente e sanguinosamente
da pochi, non andava comunque sottovalutato. Ritenevamo
che la Psicologia di Comunità e la Psicologia Politica
avessero qualcosa da dire in quest'ambito, soprattutto come
supporto teorico e metodologico che avrebbe potuto facilitare
il trasferimento delle teorie sul campo.
Vent'anni di lavoro in questo settore e con questa filosofia
hanno evidenziato alcune intersezioni e contraddizioni fra
Psicologia di Comunità, Psicologia Politica e Politica
intesa come "governo della Polis". Gli elementi
in comune sono:
1- il destinatario dell'intervento che è la vita
pubblica delle persone;
2- il territorio fisico in cui si svolge l'attività;
la variante rispetto a questo è costituita dall'assioma
rispetto alla comunità che si dà per definita
attraverso il territorio, ma che spesso è un punto
di arrivo se intesa come "luogo dove esistono relazioni
significative";
3- le finalità, almeno astrattamente, sono le stesse;
4- i valori di riferimento sono sovrapponibili (non è
possibile che esplicitamente siano contrari al benessere
psicofisico);
5- fenomeni e dinamiche interni sono gli stessi (occorre
fare i conti con le relazioni interpersonali e gruppali,
con il potere, con i ruoli di ciascuno, con conflitti più
o meno espliciti, ecc.) anche se a volte i contenuti sono
diversi.
Ma le contraddizioni, cioè le caratteristiche che
differenziano radicalmente gli ambiti, incidono grandemente
sull'effettiva possibilità di perseguire i risultati
dichiarati.
Per esempio il concetto di potere ha due diverse definizioni
e conseguenti comportamenti. In Psicologia lo si intende
come potenzialità e possibilità di agire,
di realizzare dei propri desideri, di esprimersi. Dunque
c'è una tensione all'espansione, all'ampliamento
della personalità, alla scoperta di risorse sconosciute
o poco usate il cui utilizzo può incidere grandemente
sulla modalità di vita. Nel mondo politico reale
il potere si esprime attraverso azioni di dominio, di determinazione
delle azioni altrui e dunque di solito provoca delle limitazioni
più che offrire delle opportunità. In più
si manifesta attraverso leggi, norme, punizioni che hanno
peso e valenza diversi dall'influenzamento, unico mezzo
a disposizione di un individuo o di un gruppo per stimolare
negli altri una certa reazione desiderata. C'è una
bella differenza. Se brucio la bandiera tricolore simbolo
dell'Italia mi mettono in galera. Se da vent'anni ho un
vicino che non saluto mai, non importa a nessuno!
Fra gli altri c'è un elemento rispetto al quale c'è
una grande diversità fra Psicologia di Comunità-Psicologia
Politica e Politica: l'uso delle risorse con riferimento
soprattutto a quelle umane, singole o collettive che siano.
Nel primo caso si sottolinea la possibilità, anzi
la necessità del protagonismo dei cittadini, del
loro contributo alla ideazione e gestione di iniziative,
attività, progetti che migliorino la convivenza.
E dunque anche la loro corresponsabilità nel livello
di benessere di cui gode in seguito la comunità.
Atteggiamento contrario è quello dell'istituzione,
che disincentiva qualsiasi coinvolgimento diretto: sono
ben precisi gli spazi di azione del cittadino e qualsiasi
iniziativa oltre i confini fissati in quest'area è
interpretata come disubbidienza o come abuso. Questa impostazione
porta a due conseguenze fra loro opposte: da un lato valorizzazione
della diversità come moltiplicazione delle risorse,
dall'altro tendenza all'omologazione e dunque all'appiattimento.
Lo stesso vale per i bisogni, e ciò è ancora
più grave perché priva i cittadini della soddisfazione
di alcune necessità spesso essenziali a condurre
una vita dignitosa.
Rispetto a queste variabili ci pare che la situazione sia
andata peggiorando in questi ultimi 10 anni. Nonostante
i progetti di Psicologia di Comunità siano all'ordine
del giorno e anche l'Unione Europea continui a promuoverli,
la Politica sembra essersi "arresa" o rassegnata
ad essi non tanto per buon cuore, ma per necessità
soprattutto di tipo economico: condizioni disagiate di vita
in tutti i sensi richiedono stanziamenti economici consistenti
nell'area dei servizi sociali e conseguenti sacrifici in
altri settori che possono essere ridotti investendo in prevenzione.
Finalmente la logica della prevenzione pareva acquistare
dei meriti che vent'anni abbondanti di sperimentazioni non
le avevano riconosciuto. In realtà, le sclerotizzazioni
dovute ad anni di immobilismo rendono le possibilità
di successo nell'impresa precarie e fragili.
Vico parla di corsi e ricorsi storici: certo aveva ragione
se intendeva riferirsi alla labilità di memoria dei
popoli che "dimenticano" facilmente situazioni
difficili in cui sono stati direttamente coinvolti. Per
esempio gli inglesi eredi di quelli che avevano scritto
la "Magna Charta" primo esempio di costituzione,
hanno dovuto fare i conti con una vera e propria guerra
cruenta da un lato e con una rivoluzione pacifica dall'altro
per concedere l'indipendenza a quelli che sarebbero diventati
gli Stati Uniti d'America e la Repubblica Indiana. E a loro
volta i cittadini americani hanno dovuto fare una guerra
civile per superare lo schiavismo. E così via per
arrivare agli italiani intolleranti nei confronti degli
extracomunitari così come tedeschi e belgi lo erano
coi nostri padri e nonni non molto più di 50 anni
fa.
Più recentemente, i problemi dell'integrazione razziale,
l'intolleranza religiosa, il terrorismo fino alle attuali
guerre che travagliano il nostro Pianeta, quelle esplicite
come in Afghanistan e in Iraq, o quelle camuffate, come
il conflitto fra Israele ed i Palestinesi, sono evidenti
espressioni di uno scollamento fra le intenzioni dichiarate
e le azioni realizzate. Rappresentano una contraddizione
fra i principi trasmessi come fondamento della convivenza
e gli obiettivi realmente perseguiti. Tracciano una linea
di separazione fra i cittadini del mondo destinati ad un'ubbidienza
"cieca pronta ed assoluta" ed i governanti che
si ritengono al di sopra delle leggi che loro stessi hanno
promulgato.
Così abbiamo pensato all'opportunità di far
riappropriare i cittadini dei percorsi di riflessione che
forse sono stati dimenticati o hanno perso importanza perché
sono stati disattesi e traditi anche da chi avevamo scelto
per garantirne la saldezza e la continuità.
Questo volume segna anche per ARIPS una tappa importante
per tre motivi. Il primo è legato al compleanno dell'Associazione:
25 anni di attività nei quali si è sempre
cercato di mantenere un collegamento fra tre vocazioni.
La ricerca teorica, lo studio, il dibattito interno e con
studiosi di discipline affini e di scienze "limitrofe"
nell'ottica di realizzare sinergie creative, la costruzione/ideazione
di modelli di intervento, la diffusione - attraverso l'editoria
- di tutto quanto veniva via via elaborato.
L'influenzamento della realtà concreta attraverso
l'applicazione dei principi e dei modelli elaborati con
gli adattamenti del caso e la riflessione sui problemi collegati
alla trasferibilità.
L'evaluation degli interventi realizzati soprattutto dal
punto di vista dei processi avviati, delle risorse messe
in campo e del rapporto "costi-benefici".
25 anni dopo, il sogno, sotto forma di progetto ambizioso
e quasi arrogante, di trovare una strategia efficace a conservare
lo stato nascente o almeno ad evitare il senso di morte
delle organizzazioni, rimane tale. Forse è anzi un
po' appannato dai numerosi tentativi realizzati. Ma ha consentito
di aumentare la consapevolezza di tutti noi che abbiamo
continuato a perseguirlo ed ha influenzato le nostre scelte
nel campo professionale. È stato e rimane importante
come termine di paragone e, forse paradossalmente, come
aggancio non illusorio alla realtà.
Il secondo elemento importante sta nel fatto che gli autori
dei tre contributi rappresentano tre generazioni di ARIPS:
Guido Contessa ne è il fondatore ed il teorico, colui
che ha posto le basi per lo studio e l'apprendimento collettivo;
Alberto Raviola è l'espressione del desiderio e della
volontà individuale e dell'esistenza di un gruppo
effettivo dove l'interdipendenza lewiniana è una
pratica comune e consueta (dopo aver fatto il percorso formativo
nell'associazione, ha chiesto di farne parte come membro
attivo, fra l'altro divenendo responsabile dell'area formativa);
Luca Bacchetta - il più giovane - rappresenta la
costanza e la continuità e anche la possibilità
di interazione di risorse diverse, arricchenti proprio perché
diverse (socio di ARIPS, è assistente sociale e attualmente
presta servizio presso l'ASL Mantova).
Infine questo saggio fa parte di una trilogia, che comprende
un volume sul metodo ed uno sulle tecniche di intervento,
nella speranza di offrire un percorso realizzabile ed efficace,
e con il desiderio di "passare il testimone" ad
operatori coraggiosi che hanno un sogno da realizzare.
Dunque questo saggio ha lo scopo di aiutare la memoria
a ricordare concetti che le sono stati insegnati ed il cuore
a recuperare sentimenti e orgogli forse passati di moda
ma che sono necessari se si vuole recuperare alla nostra
esistenza umana il significato primitivo.
I tre articoli che seguono rappresentano solo uno stimolo,
un suggerimento, una pista di avvio per un percorso più
lungo che può essere condiviso coi molti compagni
di viaggio che costituiscono i membri della comunità
a cui apparteniamo.
Margherita Sberna, dicembre 2003
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