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Economia virtuale: smascheriamo
le finte comunità
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Molte imprese della new economy si basano su questo principio,
ma la loro vita è brevissima. Nessuno ha ancora fatto il
calcolo dei portali e delle cosiddette comunità
che sono nate, e dopo un anno si sono trasformate, fuse, riciclate
oppure hanno semplicemente chiuso, ma si tratta di migliaia. Il
fatto è che queste non hanno mai avuto nulla da offrire che
fosse davvero appetibile: solo informazioni e servizi insignificanti,
spesso incomprensibili, di basso costo, dunque replicabili da chiunque.
Primo: non si capisce perché queste persone, appena ci riflettono, debbano effettivamente allestire uno spazio casalingo. In cambio di qualche perlina luccicante, offrono gratis il loro lavoro per aumentare il valore delle azioni di unimpresa che non possiedono. Secondo: perché i vicini dovrebbero perdere tempo a visitare uno spazio pubblicitario in casa daltri ? (al massimo ne faranno uno proprio). Terzo: cosa impedirebbe a 10.000 nuove imprese di entrare in questo mercato artificiale, competendo con le prime che hanno rischiato? Così hanno fatto e continuano a fare molte sedicenti comunità-imprese della new economy. Aprono un portale che chiamano comunità, e su questo offrono:
In cambio di questo le imprese-comunità chiedono:
Se questo baratto, molto simile a quelli che proponevano gli spagnoli
al popolo maja, riesce, la società diventa famosa, e si fa
assorbire da una società più grossa a suon di miliardi,
oppure si quota direttamente in Borsa. Per piazzare le azioni a
un prezzo cospicuo magari, si spacciano i primi 200.000 entusiasti
passanti dal portale come membri della comunità e dunque
potenziali utenti fidelizzati, del mercato globale.
Lultimo che prende il cerino fallisce, ma la comunità,
come una Fenice, risorge sotto altro nome e ricomincia il giro,
con altri giocatori dazzardo. |