La metamorfosi delle professioni sociali (2005)


All'inizio del XXI secolo è avvenuta una significativa trasformazione delle culture in Occidente, e di conseguenza è mutato il mandato sociale delle professioni, quindi la loro natura e le competenze necessarie.

L'educazione, da attuazione del sè alla replicazione del noi

L'educazione è un processo di integrazione sociale e di attuazione del sè. La difficoltà delle professioni educative sta nel trovare un equilibrio fra le norme e la cultura del contesto, e la libera costruzione di un sè originale. La base filosofica di questa impostazione sta nella duplice e irrinunciabile esigenza della società di tramandarsi alle nuove generazioni, lasciando però un margine alla diversità individuale, sia perchè questa è riconosciuta come diritto sia perchè garantisce l'evoluzione della società. Nella seconda metà del XX secolo le professioni educative avevano il mandato sociale di educare nel doppio senso di rendere adatti all'ingresso in società, e "tirar fuori" la personalità originale degli utenti. Questa missione richiedeva competenze professionali mirate all'adattamento sociale e insieme allo sviluppo di una personalità capace di autonomia e dotata di senso critico.
Genitori, insegnanti, educatori professionali ed educatori informali erano chiamati non solo a riprodurre semplicemente i comportamenti adulti nelle nuove generazioni, come era accaduto nei secoli precedenti, ma a facilitare la crescita di soggetti capaci di inventare nuovi mondi. Questo mandato della modernità derivava dal riconoscimento di diritti autonomi anche nei bambini, considerati come portatori di personalità, sia pure da attualizzare. Ma derivava anche dall'esigenza di un sviluppo sociale, possibile solo grazie ad uno scarto fra le generazioni. Se le generazioni si riproducono esattamente lo sviluppo sociale è impossibile.

Il XXI secolo, che sembrava iniziare con una crescita accelerata grazie alla centralità dell'immateriale, registra in quasi tutto l'Occidente una vistosa battuta d'arresto. La società italiana sembra cessare d'improvviso la vocazione evolutiva ed anzi attraversa una forte involuzione. Il mandato a creare nuove generazioni in parte differenti dalle precedenti viene ritirato e sostituito con un forte mandato alla omologazione, normalizzazione, replicazione dell'esistente. Gli educatori sono ridotti al ruolo di replicatori. I valori centrali loro affidati non sono più l'originalità l'autonomia, il senso critico, ma la normalità, la dipendenza, il consenso. Gli educatori sono chiamati ad essere macchine per la fotocopiatura, più o meno come era agli albori della modernità. Le competenze richieste per la professione educativa si semplificano molto: basta essere "normalizzati" per educare alla normalità. Custodia, relazioni amicali, prediche moralistiche sono le competenze richieste ai nuovi educatori.

L'animazione, dal potenziamento del sè all'evasione

L'animazione è un processo finalizzato al potenziamento del sè, attraverso la riappropriazione di bisogni e capacità, per vari motivi trascurati. La difficoltà dell'intervento animativo risiede nella messa al centro dell'utente, e nel riconoscimento della sua esclusiva sovranità. Il mandato sociale dell'animazione è il recupero e la riattribuzione di quel potenziale umano che il soggetto non ha ancora messo in campo. La pratica dell'animazione si è sviluppata nella seconda metà del XX secolo, sulla scia della constatazione che la cultura industriale portava gli individui a valorizzare ed esprimere solo alcune parti del sè. Animatori professionali e volontari erano chiamati ad attivare bisogni e capacità repressi o rimossi, attraverso strumenti di attivazione, ludici ed espressivi. Questo mandato si basava sull'esigenza di facilitare la piena realizzazione dei soggetti, il che non solo era riconosciuto come diritto, ma anche come contributo alla crescita della società. Se le competenze globali dei soggetti non sono sviluppate, la loro sovranità è minata, e la società impoverita. Questa missione richiedeva competenze professionali relative al far fare, far esprimere, far divertire.

L'evo immateriale poteva registrare un'accelerazione dello sviluppo delle competenze immateriali e della ricchezza delle nazioni capaci di favorirle. L'Occidente e l'Italia in particolare hanno, al bivio, preso la direzione della contrazione, della conservazione, della difesa. Il mandato di aumentare il potere dei soggetti facilitando l'attivismo e l'espressività è stato ritirato e ridotto ad un becero divertimento evasivo. Gli animatori sono investiti del ruolo di intrattenitore, giullare e saltinbanco. Per questo ruolo le competenze richieste sono quelle di aspirante artista o di artista fallito. Non è un caso che l'animazione sia utilizzata fra i livelli medio-bassi della popolazione: i livelli più alti possono permettersi un divertimento con artisti veri.

Formazione, dalla scultura del sè all'indottrinamento

La formazione è un processo di perfezionamento o correzione delle competenze degli adulti. Il mandato sociale della formazione è l'apprendimento. Non esiste formazione se non c'è chi impara qualcosa in ordine al sapere, al fare o all'essere. L'apprendimento, nella modernità, significa cambiamento nel senso di correzione o sviluppo. Il mandato sociale della formazione è quello di costruire competenze adatte alla vita ed al lavoro in una società complessa in perenne trasformazione. I formatori professionisti dovevano essere specialisti nel facilitare l'apprendimento di conoscenze, abilità e capacità (competenze, in sintesi). Questo compito sociale era deteminato dall'idea che la qualità della vita come del lavoro di una società in sviluppo e progressiva complessità, richiede soggetti più competenti. Naturalmente più competenza significa anche più autonomia, più creatività, più responsabilità professionale.

Le scelte fatte dall'Europa tutta e dall'Italia in primis sono andate non verso una maggiore qualità della vita e del lavoro, quindi verso una più elevata e diffusa competenza. Ma verso l'esatto contrario: dequalificazione della vita e del lavoro, e sostituzione progressiva della competenza con la dipendenza e la fedeltà. Le competenze individuali sono state sempre più considerate un disturbo ed un costo inaccettabile per lavori sempre più dequalificati. Se l'ideale del lavoro diventa quello dei call center e delle cubiste, la competenza è solo fonte di conflitti. Anche laddove il lavoro non è così squalificato, la competenza rischia di essere un elemento di disturbo per organizzazioni il cui unico interesse è il consenso. Il mandato sociale relativo all'aumento delle competenze e all'apprendimento viene sostituito con mandati meno impegnativi: motivazione o selezione del personale, vacanza-premio, apostolato del pensiero dirigente. I formatori diventano predicatori, intrattenitori e motivatori. Le competenze richieste a questi nuovi formatori sono semplici: bella presenza e facilità di parola.