20 anni di lavoro - ARIPS 1978 -1998
2° GIORNATA LEWINIANA
IL CONCETTO DI INTERFACCIA NELLA PSICOLOGIA COLLETTIVA
Enzo Spaltro

Con in termine interfaccia, interface, schnittstelle, intercara, si intende una frontiera fra un livello di funzionamento sociale ed un altro. Interfaccia significa anche passaggio da una densità ad un’altra densità sociale, cioè ad una pressione che va crescendo in maniera discontinua, una superficie, una frontiera (alla Lewin) ed i salti di qualità che la caratterizzano si denominano appunto interfaccia perchè rappresentano una doppia faccia tra un mezzo a densità minore ad uno a densità maggiore.
Si distinguono essenzialmente tre (forse quattro?) interfacce e cioè un’interfaccia A fra cultura di coppia e di piccolo gruppo; un’interfaccia B fra cultura di piccolo gruppo e cultura organizzativa; un’interfaccia C fra cultura organizzativa e cultura mega o comunitaria ed infine un’interfaccia D tra cultura mega comunitaria e cultura virtuale (?!) oggi in via di imprevedibile formazione (cfr. reti internet et similia).
Il concetto di interfaccia a due climi a diversa pressione sociale deriva nettamente dall’emergere della soggettività nel sociale e dalla constatazione di resistenze e diminuzioni di velocità ogni qualvolta il soggetto si trova a doversi fermare a causa di un forte aumento della pressione sociale ed un bisogno di riadattarsi all’aumentata pressione per poter riprendere la velocità di sviluppo iniziale. Il questo modo il rendersi conto della natura soggettiva di gran parte delle strutture sociali, organizzative e lavorative apre il problema della costruzione della realtà sociale da parte dei soggetti lavorativi. Ciò porta a considerare con interesse il livello mega delle comunità, stato e nazione, contraddistinto dalla concezione etica ed estetica delle relazioni. Il livello mega è basato sulla dimensione politica e sul sistema sociale indefinito: la comunità, lo stato e la nazione. Il livello mega può essere definito come “quello di appartenenza ad un sistema sociale complesso ed indefinito”. Questo livello, ancor poco studiato e conosciuto psicologicamente, rappresenta il quarto livello del modello delle quattro culture sopra esposto. Anche nel mondo del lavoro l’importanza di questo livello, un tempo riservato solo agli alti livelli gerarchici e a volte persino vietato a più bassi livelli, rappresenta una realtà di rilevanza crescente ed indispensabile per lo stesso raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Questi quattro (forse cinque!) livelli di funzionamento sociale comprendono diverse modalità di comportamento, sinteticamente riassunte nello schema chiamato delle quattro (cinque?) culture di passaggio da un livello all’altro viene appreso progressivamente e costituisce una situazione di apprendimento denominata appunto interfaccia. Un’interfaccia è anche definibile come una superficie di passaggio da una cultura all’altra, da un vuoto ad un pieno sociale. Se l’interfaccia è una superficie di passaggio da una minore ad una maggiore densità, possiamo definire che la cultura di coppia è meno densa di quella micro che a sua volta è meno densa di quella macro, che è meno densa di quella mega. Se ne deduce che lo sviluppo sociale porta ad una maggiore densità e ad una minore leggerezza sociale, ad un passaggio da un vuoto ad un pieno sociale. Lo sviluppo attraverso alle quattro culture porta ad un progressivo riempimento sociale, che aumenta la complessità del comportamento dei soggetti ma diminuisce la loro alienazione ed il loro stress da abbandono. Lo sviluppo del livello mega è più faticoso del sotto sviluppo del livello di coppia, ma aumenta le possibilità di benessere dei soggetti lavorativi

Il passaggio attraverso alle interfacce avviene con difficoltà e la pedagogia tradizionale basata sul modello maestro-allievo è oggi scarsamente efficace. Occorrono metodologie collettive e di gruppo per poter facilitare il passaggio attraverso alle tre interfacce. La pedagogia delle quattro culture, rispetto a quella tradizionale detta magistrale della cultura di coppia permette una maggiore creatività, un maggiore fraintendimento come devianza intesa non solo come errore, ma come maggiore possibilità di raggiungere quel benessere soggettivo che oggi sempre più appare essere l’unico benessere possibile.
Questo modello presenta due caratteristiche tipiche che possiamo definire come circolarità e ricorsività. La circolarità vuol dire che, una volta giunti al livello mega, ritornano in funzione alcuni tipici comportamenti di coppia per cui si ritorna alle origini del comportamento relazionale umano. Nella nostra evoluzione quotidiana, organizzativa e personale, possiamo normalmente (almeno in un comportamento che potremmo definire “teoricamente perfetto”) dalla coppia al micro, al macro ed al mega per poi ritornare al comportamento di coppia, micro, macro e via dicento. La ricorsività invece (prendendo questo termine da Edgard Morin e dalla sua teoria della complessità) significa che non esiste un comportamento migliore di un altro per ciò che riguarda la modalità di intervento nelle situazioni lavorative. Si interviene perciò dove è più possibile intervenire e dove si ritiene che il risultato possa essere migliore. Si interviene così in modo ricorsivo. E’ però importante avere le capacità tecniche e mentali per poterlo fare e cioè sapersi muovere ai quattro livelli del modello qui proposto, senza dover rinunciare ad un livello di intervento per ignoranza, spesso ideologicamente giustificata come utilità.
Il modello sopra presentato richiede un ulteriore commento per ciò che riguarda il passaggio da una cultura all’altra, cioè attraverso alle tre interfacce: A, fra coppia e piccolo gruppo o micro, B fra piccolo gruppo micro e macro cioè al livello collettivo delle organizzazioni e istituzioni, e C fra macro collettivo e mega, cioè al livello comunitario statuale o nazionale.
Nell’interfaccia A si incontrano le massime resistenze per l’abbandono della società a risorse scarse che è stata per millenni basata sulla cultura di coppia.. Oggi la società del benessere ha fatto saltare il dogma del “limited good”, del bene limitato e l’idea della scarsità come dimensione esclusivamente obiettiva.
Nell’interfaccia B si incontrano le difficoltà maggiori per i comportamenti solidaristici ed altruistici: infatti il passaggio alla cultura di gruppo all’inizio pluralizza, ma successivamente restringe gli interessi e le attenzioni al proprio piccolo clan e determina un “egoismo di ritorno” che non consente uno sviluppo dei sentimenti altruistici o di una cultura dell’eccellenza organizzativa. Per esempio la mentalità del cottimo nel mondo del lavoro si trasferisce spesso dall’individuo al piccolo gruppo senza perderne le caratteristiche negative di competitività tra gruppi e di ripartizione di una risorsa scarsa e di uso di un potere a somma zero, con le conseguenze di aggressività, di non negoziabillità e di ripartizione sistematica che sono spesso disastrose.
Nell'interfaccia C, poco studiata empiricamente sinora, si incontrano essenzialmente i passaggi al mondo delle relazioni pubbliche e della mentalità di servizio. La dimensione estetica e della possibilità diventano fondamentali a questo livello: grandi problemi come quello della rappresentanza, della rappresentanza, della sanità, dell'organizzazione fiscale (la cosiddetta fiscal psychology degli inglesi) sono alcuni dei capitoli che il modello delle quattro culture, sviluppato nell’interfaccia C, permetterà di approfondire e migliorare, ricercando un benessere crescente nella nostra società abbondante. I tre diversi passaggi
attraverso alle tre interfacce interculturali sono infatti momenti tecnici e psichici importanti, sia quando si vogliono effettuare cambiamenti nelle organizzazioni, sia quando si vogliano organizzare la scelta la scelta, la formazione e la valutazione dei diversi modi di comportamemo e di utilizzo delle diverse culture della grande varietà di soggetti che oggi lavorano insieme.

Nell'interfaccia D, sinora assolutamente ignota, si considereranno tutte le resistenze verso il mondo virtuale e tutti i surrogati relazionali che si stanno di questi tempi costruendo (internet, e-mail, telefono e video-telefono) attribuendoli farisaicamente alla tecnologia, quando sono evidentemente prodotti dalla ricerca del benessere da parte dei soggetti attivi nella società abbondante. La icerca della massima amabilità porta ad aumentare l'importanza del mondo virtuale ed alla creazione di un interfaccia D tuttora incomprensibile. Come conseguenza della "viabilità" interfacciale esistono poi degli effetti importanti nello studio dei fatti sociali, dentro e fuori dal lavoro. Per elencare sinteticamente, seguiamo per ora le seguenti affermazioni:

a) l'ambiente fisico può essere progettato e realizzato; si possono proporre modelli come quelli che diventano disponibili, seguendo i simboli seguenti: rotondo-cerchio=gruppo, faccia a faccia=coppia, numero di interazioni possibili a cattedra o a tavolo rotondo, a tavola triangolare, uadrato o rettangolare, seguendo associazioni di numeri a colori essendo i colori caldi corrispondenti ai numeri pari ed i colori freddi ai numeri dispari, il più frequente è l'effetto blu-sette per cui il colore blu corrisponde al numero sette e reciprocamente.

b) i sistemi ergonomici sono quelli progettati per ottenere il massimo di apprendimento, mediante la realizzazione di sistemi uomo-macchina, comprendendo le attrezzature didattiche, ma anche il lay-out degli ambienti mediante sistemi uomo-ambiente e sistemi uomo-uomo, cioè organizzazione fatta per migliorare il processo di apprendimento e non per l’esclusiva manutenzione dei rapporti relazionali o di potere vigenti. A ciò va aggiunto un sistema di monitoraggio o di feed-back dei risultati dell’apprendimento svolto sia ad open che a closed loop (con computer che automatizza il processo di monitoraggio).

c) le metafore che sono moltissime e che sono un modo indiretto e simbolico di descrivere le situazioni. Sono da ricordare qui le seguenti metafore: la macchina, cioè l’idea di scuola come macchina, idea di derivazione tedesca; l’organismo, cioè l’idea di scuola come essere vivente, di derivazione francese; la cellula, cioè l’idea di scuola come entità autonoma, autoreferenziale, di derivazione anglosassone; la famiglia, di derivazione giapponese, più nettamente connessa a finalità utalitaristiche della scuola intesa come situazione familiare, la guerra, metafora di derivazione romana intesa come strategia del dominio e dell’indottrinamento, del genere “si vis pacem para bellum”; la metafora della scolé di derivazione greca, intesa come evasione, ozio, libertà dalla tecnica, dal lavoro dall’occupazione, metafora dell’attività rispetto alla passività, e infine la metafora del sentimento forse a derivazione italiana, che tende ad utilizzare le strutture scolastiche come essenzialmente composte
da feelings e da stati d'animo, del genere apprendimento come emozione.

d) i desideri, che sono sentimenti della possibile soddisfazione delle proprie pulsioni e che possono essere definite sinteticamente come la delusione delle aspettative, come dipendenza, controdipendenza o interdipendenza, come distinzione tra contenuti (temi da trattare) e processi (modi in cui vengono trattati) ed infine l'equazione già sopra discussa di benessere definibile anche come equilibrio tra R-E= repressione-espressione tra Ds-D = desiderabilità sociale e personale, d-b = desideri e bisogni.

e) il tempo, che è l'interfaccia dei desideri ed è quindi osservabile, in un sistema scolastico aperto, nelle sue caratteristiche di fissità, di curva dell’attenzione, di transfert e controtransfert (passato) e di costruzione della realtà (futuro). Il calcolo dei tempi di apprendimento e di soddisfazione dei tempi di apprendimento è fondamentale per la progettazione di una buona scuola. Le vecchie curve di apprendimento, di affaticamento, di memorizzazione dovrebbero essere applicate di più.

f) fl compenso premio questo è un altro aspetto cruciale del processo di apprendimento oggi in sviluppo nella buona scuola: nel compenso sono assimilabili sia il denaro od altro compenso para-monetario, l’utilità prevista che se è specifica di quel prodotto può essere definita come utilità marginale. Occorre entrare nella cultura abbondante e delle promesse che consentono di andare oltre al costo emotivo sottovalutato ed all’omogeneità del compenso oggi deleterio nella consuetudine imperante. infine occorre sviluppare l’eterogeneità dei premi da affidare alla creatività dei docenti. Occorre passare dallo standard punitivo a quello premiante.

g) lo scopo delle attività di apprendimento: queste possiamo definirle le declinazioni dell’amabile, essendo l’apprendimento concepito come creazione di oggetti di amore, mediante il gioco, il mitoed il sociale. Questo discorso sul setting, sia pure nella sua sinteticità, rende complessa anche la dimensione dell’ambiente di apprendimento (ed anche un poco di insegnamento!) e raccomanda alla buona scuola una mentalità complessa e plurale non omologabile neppure solo geograficamente o per classi scolastiche. Il setting non è l’edilizia ma l’insieme di condizionamenti psico-fisici. Occorre pensare a molte cose: ad un nuovo modo di imparare e di lavorare, ad una nuova professionalità, ad un nuovo modo di utilizzare il tempo, proprio od altrui, diurno o notturno, rigido o flessibile, ed a delle nuove regole comuni.

L’interfaccia si esprime anche nell’interfaccia C tra macro e mega. Quindi occorre anche pensare alla politica, alla ricerca collettiva del benessere, ad una nuova costituzione che esprima i desideri della gente di sovranità e cittadinanza, che riabiliti soprattutto i ruoli didattici, oggi considerati minori, e li faccia rivivere per il benessere di tutti. Tutto questo lo propongo nei sei teoremi sul miglioramento della qualità della vita che ho presentato prima, come inizio di attenzione alla psicologia soggettiva (la psichica?) del benessere nella società italiana. E la qualità della vita può essere indicata come una delle basi della buona e bella formazione, anzi della bella formazione tout court! Perchè lo standard di base di ogni formazione è quello di provocare benessere e quindi si valuta mediante le potenzialità operative di misurare benessere di cui oggi disponiamo. Ne derivano delle modalità tecniche per valutare la formazione psicologica e le possiamo chiamare valutazioni benestanti particolarmente attive in quelle situazioni che possiamo chiamare psichiche (non solo psicologiche!) perchè se il benessere è soggettivo in massima parte, occorrerà che la formazione finalizzata al benessere sia soggettiva e plurale con una qualità capace di soddisfare i desideri (non solo i bisogni!) e con un setting progettato soggettivamente e pluralisticamente in modo di essere capace di promuovere il benessere futuro che sta alla base di sviluppo sociale. Lo studio delle resistenze a questo sviluppo può essere analizzare con quest’idea di interfaccia che teorizzando il passaggio dal vuoto al pieno, dal meno al più denso permette di produrre velocità di sviluppo ottimali e di non cadere vittima delle frustrazioni inevitabili ad ogni passaggio di interfaccia dove lo sviluppo incontra i suoi momenti di discontinuità ed il passaggio dei desideri di benessere attraverso alle superficie tra vuoti e pieni, o meglio tra minori e maggiori densità sociali, determina l’illusione di poter seguire passivamente un destino e di togliere al progetto soggettivo la tendenza umana ed inevitabile verso il benessere. In questo senso possiamo dire, con K. Lewin, che l'interfaccia è un concetto topologico per rappresentare le forze psicologiche nel campo o spazio vitale e per usare l’idea di locomozione tra regioni (interfaccia come frontiera, boundary, confine tra regioni!) come modello per il cambiamento psichico e sociale. A noi il ruolo di sviluppare questo concetto nelle sue possibili pratiche applicazioni.