Premessa
Le
riflessioni che seguono sono ispirate da un'esperienza di
formazione che viene citata nel testo per meglio spiegare
quanto è successo. Non vengono quindi esaminate tutte le
dinamiche ed i processi tipici di un gruppo operativo, ma
alcuni di quelli osservati concretamente, frutto della sensibilità
e degli interessi dei partecipanti di un gruppo, i quali
sperimentavano in generale per la prima volta la metodologia
formativa del T-group e dei suoi derivati.
L'occasione
è un laboratorio di sensibilizzazione al lavoro di gruppo
(LAB) nel quale sono coinvolte una trentina di persone,
suddivise in tre gruppi.
Il LAB ha le seguenti caratteristiche:
- prevede la compresenza di più gruppi e dunque di un numero
elevato di partecipanti che vengono suddivisi; i gruppi
interagiscono fra loro e danno origine nel loro complesso
ad un macro-gruppo con le caratteristiche di una comunità,
a causa delle diversifcazioni interne;
- utilizza l'autocentratura, metodologia del T-group che
prevede la concentrazione sul "noi, qui ed ora", cioè del
gruppo su se stesso, in quel luogo ed in quel momento;
- introduce una simulazione, cioè una sorta di esercitazione
che si basa sulla realizzazione di un compito "come se.."
e che crea una analogia con la realtà concreta dei partecipanti,
come accade per esempio in molti giochi che hanno come obiettivo
qualche tipo di apprendimento. Il contenuto nel LAB ispiratore
delle riflessioni che seguono richiedeva l'individuazione
di alcuni parametri di osservazione (5 per la precisione)
per rilevare i caratteri fondamentali di una tribù sconosciuta.
GRUPPO
COUSIN
Nove
persone, di cui uno solo è maschio, più il conduttore anchesso
femmina. Situazione difficile, ma tutti i gruppi si trovano
alla pari rispetto a questa variabile e hanno in comune
anche altro: leterogeneità delle professioni dei partecipanti
medico, infermieri, assistenti sociali, educatori,
amministrativi, informatici; la provenienza dalla stessa
organizzazione lavorativa; il settore di lavoro con la mansione
di vigilanza e controllo; il territorio di appartenenza
geografica; il livello di conoscenza interpersonale, con
alcuni più ricco e profondo, con altri superficiale fino
a limitarsi al solo nome o alla fisionomia fisica; leterogenea
frequenza ad attività formative in senso classico. I tre
gruppi che partecipano al laboratorio sono fra loro omogenei
ed eterogenei al loro interno.
Un gruppo "cousin", dunque. Il che rende difficile un percorso
formativo che si propone apprendimenti nellarea delle
capacità psicologiche e più specificamente in quelle competenze
che riguardano il lavoro di gruppo.
Il
principale problema di un tale gruppo in situazioni di apprendimento,
è la limitazione della libertà, elemento essenziale per
imparare se il metodo utilizzato, come in questo caso, si
basa sulla partecipazione diretta ed attiva e sull'esperienza
emotiva. La restrizione deriva principalmente dalla conoscenza
- anche superficiale - delle altre persone: nessuno vuole
far vedere agli altri le proprie difficoltà, gli errori
che commette, i comportamenti inadeguati, ecc. Esiste dunque
una sorta di contraddizione di partenza, perché l'apprendimento
di competenze psicologiche pone per definizione "il discente"
in situazioni a rischio di errore che potranno essere superate
attraverso l'aiuto dei membri del gruppo, delle loro osservazioni
e dei loro suggerimenti.
Razionalmente tutti accettano la situazione e sono alla
pari. Ma emotivamente non è così perché le persone sono
fra loro diverse ed il loro percorso di vita ha sviluppato
sensibilità e aspetti della personalità che possono facilitare
o ostacolare l'esperienza formativa. A questo si può aggiungere
un ulteriore elemento, questa volta oggettivo, che può trasformarsi
in un vantaggio: la posizione occupata nell'organizzazione
lavorativa. Così qualcuno è più coraggioso, dunque più attivo;
e qualcuno di fronte a questi comportamenti si fa più timido
fino a volte ad immobilizzarsi del tutto.
Ne deriva che è necessaria molta più energia per fare un'azione
qualsiasi di quanta ne sarebbe richiesta in una situazione
"normale", intendendo con questo concetto un gruppo costituito
da persone fra loro sconosciute.
Un
ulteriore elemento di difficoltà è rappresentato dalla scarsa
eterogeneità nella composizione del gruppo relativamente
al genere dei membri. La condizione ottimale prevede un
equilibrio numerico fra uomini e donne: è la differenza
più evidente ed è quella che risulta più facilmente stimolante
delle relazioni piuttosto che "respingente", forse per com'è
la natura umana, per il divertimento insito nel gioco della
seduzione, per la complementarietà dei comportamenti e dei
processi di pensiero. La competizione reciproca, che pure
esiste, è produttiva anziché distruttiva, come accade nei
gruppi omogenei per sesso. Spesso i gruppi femminili - soprattutto
in questi ultimi lustri - oltre che competitivi, conflittuali,
distruttivi, sono diventati piuttosto violenti ed a volte
sono caratterizzati da azioni di vera cattiveria. La collaborazione
fra donne è piuttosto rara e superficiale.
Anche i gruppi di soli uomini hanno dei limiti: più razionali,
poco conflittuali e poco emotivi, più prevedibili nei comportamenti.
Quando
la formazione viene realizzata all'interno di un'organizzazione
piccola o media o di un settore di una di grandi dimensioni,
quasi sempre si presentano questi problemi nella costituzione
dei gruppi. In tale situazione, la soluzione ottimale sarebbe
quella di offrire occasioni di formazione all'esterno dell'azienda.
Ma questo spesso genera altri problemi, non ultimo quello
economico. O, ancora più importante, impedisce che si possa
"lavorare" per creare équipe di lavoro che possano poi mantenersi
successivamente alla formazione e che siano funzionali dal
punto di vista operativo e soddisfacenti sul piano emotivo.
Benchè di impostazione diversa, gli esperimenti di Elton
Mayo hanno dimostrato l'importanza, anche in termini produttivi,
del gruppo di lavoro.
Dunque
il gruppo cousin è una dignitosa mediazione che, tenendo
conto di tutti i vincoli, può consentire soddisfacenti apprendimenti,
purchè da un lato i partecipanti si impegnino a rispettare
il "principio di riservatezza" (non parlare extra-aula di
ciò che in essa accade o, se si parla, non fare alcun riferimento
alle persone) e dall'altro si fidino dei formatori e ne
accettino le metodologie.
IL
SETTING
In
questi ultimi anni la formazione ha subito sempre nuove
limitazioni dovute a "problemi tecnici" (poco di tutto:
tempo, soldi, spazi, ecc.) ed anche alla scomparsa del desiderio
di apprendere. Così capita che chi decide in merito ai percorsi
formativi sia il primo a ritenere alcune modalità inutili,
mentre a loro volta i formatori, soprattutto desiderosi
di lavorare, colludono con queste posizioni anziché pretendere
le condizioni minime per una buona qualità dell'intervento.
Il
malcostume dilagante, con consulenti strapagati e distribuiti
come il prezzemolo anche dove non sono necessari, e la scarsa
professionalità di molti che in realtà non sono competenti
della specialità per cui si propongono, fanno il resto.
Raramente
si incontrano dirigenti consapevoli e rispettosi delle aree
di azione dei professionisti che coinvolgono. Come in questo
caso. La nostra è dunque una situazione fortunata, in cui
i compromessi sono stati minimi ed effettivamente dovuti
ad oggettivi problemi e difficoltà. Questo comportamento
ha sottolineato l'importanza data alla formazione e dunque
ha favorito una buona percezione anche nei partecipanti
che fin dai colloqui esplorativi hanno visto la proposta
come un'occasione importante.
Dunque,
a cosa si può rinunciare, fra le variabili essenziali per
un percorso formativo corretto?
Alla
sede esterna rispetto al posto di lavoro. I partecipanti
devono trovarsi in un luogo che favorisca la concentrazione
sull'attività formativa ed insieme non consenta materialmente
"fughe" nel proprio ufficio a svolgere compiti improrogabili
su richiesta del proprio superiore o del proprio Super Ego,
ma in realtà per evitare che l'emozione e le riflessioni
tocchino troppo nel profondo e scalfiscano un equilibrio
magari conquistato a caro prezzo. In più una sede fuori
dall'azienda mette tutti i partecipanti alla pari: non c'è
nessuno che conosce il luogo perché quotidianamente ci lavora,
né qualcuno che si sente ospite e si muove con circospezione.
Infine, qualsiasi cosa succeda, gli unici ad esserne a conoscenza
sono i partecipanti (tenuti alla riservatezza), o estranei
che non avranno l'opportunità di fare pettegolezzi sulla
questione. Dunque c'è un ulteriore elemento a favore della
libertà di espressione individuale.
Nel caso questa opzione non sia possibile, occorre fare
in modo che la scelta sia equilibrata in rapporto a vantaggi
& svantaggi per i partecipanti. Per esempio: la sede
di norma usata per fare formazione o una sede "itinerante"
che si sposta a turno nei luoghi dove i partecipanti lavorano,
purchè rispetti le condizioni minime necessarie.
Un
altro elemento importante è la costanza della sede, intesa
come aula di lavoro. Proprio per creare familiarità e facilitare
il sentimento di appartenenza, la stanza dove si svolge
l'attività formativa dovrebbe rimanere sempre la stessa.
Nei casi di formazione con incontri periodici, la stanza
sarà probabilmente usata anche da altri. E' importante in
ogni caso che vi rimangano i "segni" delle attività svolte,
magari chiusi in un armadio da cui riemergono per la nuova
lezione: lavagne a fogli mobili, pennarelli e cartoncini,
nastro adesivo, dispense e elaborati del gruppo in formazione,
ecc. Ma anche attrezzature e supporti tecnici come l'ormai
irrinunciabile "lap top" con annesso videoproiettore.
Se proprio occorre rinunciare, le motivazioni non devono
essere squalificanti del percorso formativo, con cui anzi
devono trovare qualche collegamento. Per esempio, quando
siano previsti tipi di attività diversi, ed anche aggregazioni
di partecipanti con altri criteri e a volte in quantità
differenti, è possibile e plausibile che l'aula cambi: le
variazioni seguono una logica spiegabile e congruente, che
- in questo caso - può tenere conto delle sedi di lavoro
dei partecipanti.
Per
alcuni seminari, infine, è necessaria la residenzialità,
nel senso che i partecipanti devono rimanere nel luogo di
svolgimento dell'attività per tutta la sua durata, anche
per mangiare e dormire. Una organizzazione, difficilmente
è dotata di una struttura in grado di funzionare come "foresteria"
ed insieme di essere abbastanza isolata da consentire il
raccoglimento e la concentrazione utili all'apprendimento.
Normalmente i seminari di sensibilizzazione - per i quali
è richiesto un setting con queste caratteristiche - sono
realizzati in strutture alberghiere più o meno lussuose
e lontane dai luoghi di lavoro e di vita dei partecipanti.
Una tale soluzione è molto costosa economicamente, e richiede
una particolare contrattazione con i partecipanti che dovrebbero
essere liberi di scegliere se aderire o no e dovrebbero
avere un qualche riconoscimento per il tempo extra lavorativo
che utilizzano. Un tempo la formazione stessa sarebbe stata
l'incentivo più significativo, perché non pagata dal partecipante
e per lui opportunità di miglioramento di carriera e di
condizioni di lavoro oltre che di crescita personale e professionale.
Questo accadeva quando la formazione era conseguenza dell'interesse
e del desiderio di apprendere del partecipante. Ben diverso
è oggi, tempo in cui la formazione è intesa come aggiornamento
e obbligatoria per il mantenimento del posto di lavoro.
Una
mediazione onorevole richiede:
- luoghi
esterni a quelli lavorativi per lo svolgimento dell'attività,
anche se individuati nello stesso comune sede dell'azienda;
- che
tutti i partecipanti restino insieme per tutta la giornata
di formazione, dal suo inizio alla conclusione, e che
abbiano la possibilità di mangiare nello stesso luogo
e insieme;
- l'impegno
da parte di tutti i partecipanti di limitare il più possibile
distrazioni derivanti dal lavoro e dal rientro in famiglia.
Tutto
questo non impedisce al partecipante di non rispettare le
regole, cosa che può accadere anche in un hotel a 1000 km
da casa, ad ulteriore garanzia del rispetto delle libertà
individuale.
DONO
& RECIPROCITA
Il
processo di socializzazione, facilitato dal LAB, ha introdotto
delle variazioni nella situazione dei partecipanti, ma non
sempre in senso positivo. Per esempio è capitato fra chi
aveva una relazione interpersonale collaudata, di scoprire
aspetti dell'altro fino a quel momento ignoti e che risultavano
sorprendenti ed inattesi. Lo stesso rapporto che si riteneva
solido, sicuro, privo di sorprese, in qualche caso è stato
scosso dallosservazione di comportamenti impensati
o percepiti come spiacevoli. La sorpresa derivava dall'aver
dato per scontato che ciò che si conosceva dell'altro fosse
esaustivo delle caratteristiche della persona e non una
parte dellintero che di fatto era molto più ricco
e variegato.
La metodologia del seminario, per la sua particolarità "spiazzante"
e per la sua caratteristica di novità per gli utenti, favoriva
i comportamenti spontanei. Anche nei casi in cui le difese
dei partecipanti agivano attraverso la censura ed il silenzio,
in realtà presentavano di ciascuno un profilo marcato e
significativo, che influenzava le relazioni interpersonali,
in particolare già esistenti.
Questa
sorta di reciproca delusione delle aspettative, originata
dai comportamenti assunti da ciascuno fin dallinizio
del LAB, è diventata più visibile concretamente nelle fasi
conclusive del lavoro di gruppo che richiedevano una presa
di decisione. I partecipanti avevano posizioni fra loro
diverse, in alcuni casi radicalmente. La presunzione di
alcuni, che in genere hanno preso posizione per primi, è
stata che un gesto generoso avrebbe facilitato laccordo.
Così essi si sono dichiarati a favore di scelte che erano
di mediazione o sostenute in precedenza da altri con i quali
avevano un legame affettivo, rinunciando spontaneamente
al convincimento per il quale avevano lottato fino a quel
momento. Si trattava dunque di un dono, e come tale-
di un gesto disinteressato.
Lesperienza concreta della mancata adesione da parte
degli altri alla stessa filosofia, ha evidenziato l'equivoco:
non si trattava di dono, bensì di scambio, transazione,
"do ut des", comportamento interessato. Il donatore aveva
considerato ovvio che il suo gesto suscitasse un comportamento
analogo negli altri. E la delusione ha originato un conflitto
con chi non ricambiava il dono!
Le
ragioni possono essere diverse. Innanzi tutto, una scarsa
consapevolezza (finta o effettiva) del significato del proprio
gesto. Secondariamente la motivazione sottostante al gesto,
e cioè un tentativo mistificato di influenzamento del comportamento
altrui. Inoltre la fragilità del rapporto interpersonale
che non consentiva una trattativa aperta e franca con cui
magari attraverso un conflitto o una strategia di
negoziazione si sarebbe potuto raggiungere un obiettivo
condiviso.
Infine, le sfaccettature del processo di comunicazione:
dalla modalità, al contenuto, al codice usato, allespressività
verbale e non verbale.
La "scoperta" a posteriori della scarsa funzionalità delloperazione
in termini di risultato, ha fatto emergere il problema attraverso
un disappunto istintivo, che proprio per questa sua immediatezza
non è stato censurato.
Questo "scoppio" ha modificato lo scambio fra le persone
coinvolte che non hanno più potuto ignorare la realtà: non
si può dare niente per scontato.
"Episodi"
come quelli descritti, si osservano frequentemente nei gruppi,
persino in quelli composti da persone fra loro del tutto
sconosciute. La società in cui viviamo, le convenzioni tipiche
della nostra cultura, la forte spinta all'omologazione,
determinano delle aspettative nei confronti dei comportamenti
altrui, benché ingiustificate o comunque non suffragate
da alcuna motivazione. Spesso si tratta di comportamenti
superficiali, adottati per convenienza e non perché corrispondenti
a sentimenti e convinzioni effettive.
La
formazione di gruppo si propone di vitalizzare un livello
più ricco e profondo di relazioni interpersonali che, proprio
per questo, sono più sincere e genuine. Maggiormente corrispondenti
al vero sentire della persona che, aumentando la socializzazione
e la consapevolezza di sé, aumenta il grado di autostima
e di sicurezza e tende ad esprimere ciò che effettivamente
pensa. Purtroppo non sempre l'autenticità va d'accordo con
la diplomazia, per lo meno nei contenuti. Inoltre può accadere
di accorgersi che, a ben pensarci, ciò di cui pareva non
importarci è invece per noi significativo ed a volte irrinunciabile.
Ne consegue che le aspettative degli altri rimangono deluse
perché il nostro comportamento è differente dalle previsioni
o addirittura del tutto contrario a quello adottato in precedenza.
Va
detto che ognuno ha diritto a cambiare quando, quanto e
come vuole e che non sempre è necessario spiegare perché
accade o trovare delle giustificazioni. Fa parte dell'apprendimento
e ne è una conseguenza diretta. Dunque ci si dovrebbe stupire
se chi partecipa ad un'attività formativa resta "fermo"
sulle posizioni di partenza. In più attraverso la formazione
si possono conoscere le reazioni che si hanno ai nuovi comportamenti
ed imparare ad utilizzare le strategie più funzionali ai
propri obiettivi.
Le
differenti situazioni, dunque, vanno affrontate a viso aperto
se si ha lintenzione di raggiungere un risultato ben
definito? Ma, chissà, forse..... non cè strategia
giusta e in grado di garantire risultati attesi. Alcuni
comportamenti sono più premianti di altri, ma non esistono
"ricette" che producano di norma come effetto ciò che noi
vogliamo. Ed è questo lapprendimento importante: le
nostre azioni devono essere consapevoli , considerando di
esse tutti gli aspetti, le sfaccettature e le reazioni che
possono suscitare nei destinatari o anche semplicemente
negli "spettatori". Agire significa assumere dei rischi.
Apprendere significa individuare, fra quelli possibili,
i comportamenti più funzionali ai nostri scopi ed essere
in grado di applicarli ai contesti che via via ci si presentano.
GERARCHIA
& INFLUENZAMENTO
I
membri di un gruppo hanno posizioni e potere diversi che
si evidenziano col passare del tempo ed in relazione agli
eventi che ne caratterizzano la vita e levoluzione.
La personalità con le sue sfaccettature è il primo elemento
che contribuisce a definire, da un lato, ed a consentire
lidentificazione dellindividuo, dallaltro.
Il passaggio da un insieme di individui sconosciuti fra
loro ad un gruppo, è cadenzato da dinamiche che sono costanti
nella tipologia, ma che si diversificano proprio in rapporto
alle caratteristiche personali dei membri del gruppo. Chi
è più spigliato, aperto, coraggioso, di solito affronta
la situazione nuova senza lasciarsi frenare o ostacolare
dal timore di sbagliare o dalla paura di rimanere coinvolto
in qualche cosa di spiacevole, imbarazzante, doloroso. Chi
è timido si comporta in modo più guardingo e prudente. Così,
un po per volta si evidenziano i ruoli di ciascuno,
proporzionati con il rischio assunto e la visibilità conquistata.
Tutto
questo avviene più facilmente in assenza di ulteriori informazioni,
che riguardano lextra-gruppo, e cioè la vita personale
e quella professionale.
Nel nostro LAB, i partecipanti hanno invece su ciascuno
degli altri informazioni che derivano dallambiente
di lavoro e ne sono influenzati grandemente, in maniera
quasi totalmente indipendente dai comportamenti assunti
nellattività del seminario.
Il principio della subordinazione allautorità è tipico
delle organizzazioni verticistiche-piramidali, dove alcuni
comandano su altri in forza delle posizioni che occupano
nellorganizzazione, nellimpresa, nellistituzione.
Le modalità di gestione del proprio potere possono essere
differenti.
Il comportamento è la risultante dellintreccio fra
tre elementi principali: la personalità, il ruolo ed il
contesto che ad esso dà significato e valore. Per fare un
esempio, lAmministratore Delegato di una multinazionale
ad una riunione del Consiglio di Amministrazione si comporta
diversamente da quando agisce come padre di famiglia. E
sempre la stessa persona, ha in entrambi i casi responsabilità
e compiti di cui rispondere, ma i contesti differenti richiedono
lutilizzo di competenze e capacità psicologiche differenti.
Il
gruppo del LAB si trova in una situazione simile, con unaggravante:
la formazione è interna allorganizzazione. Così il
grado di "distanza" fra un luogo -lambiente di lavoro-
e laltro -il gruppo- è determinato dal contratto iniziale
che, all'avvio della formazione, ha posto alcune regole
e convenzioni. Fra esse non è possibile inserire la cancellazione
della realtà. In altre parole non si può chiedere di considerare
tutti i partecipanti uguali: è un impegno che anche preso
non è possibile mantenere.
Laspetto curioso della situazione formativa sta nella
connessione fra ruolo gerarchico oggettivo e grado di conoscenza
interpersonale. I membri del gruppo che non conoscono direttamente
né hanno lavorato con chi ha nellorganizzazione reale
una posizione gerarchicamente superiore, hanno nei loro
confronti un atteggiamento deferente ed un comportamento
rispettoso al punto da essere condizionati nelle decisioni
che prendono. Di solito sono persone in posizioni di subalternità.
Chi invece è ben socializzato, e magari è anche in un gradino
intermedio della scala gerarchica, non teme di confrontarsi
con gli altri in termini di potere. Infine, chi si trova
al vertice della piramide nel contesto gruppale, pare vivere
con imbarazzo questa situazione. Come se fosse incerto sul
comportamento da tenere: propositivo e direttivo -come fanno
i capi ed i responsabili; possibilista ed esplorativo -come
chi sente di avere fra i suoi compiti anche la crescita
e lo sviluppo degli altri; passivo e prudente -quasi un
gregario- forte della convinzione che cambiando il contesto
tutto si modifica.
In
un gruppo "cousin", come quello descritto, che sta affrontando
un percorso formativo, la gerarchia è data da elementi "oggettivi",
come titoli di studio e professioni che stabiliscono chi
vale di più ed ha più importanza in relazione anche al prestigio
normalmente riconosciuto dalla società. Per esempio, il
medico è più importante dellinfermiere, ma anche del
sociologo, delleducatore e dellassistente sociale
nonostante tutti questi titoli richiedano la frequenza ad
una facoltà universitaria. Tecnici e amministrativi si contendono
gli ultimi posti in graduatoria, soprattutto perché -in
uno scenario globale a carattere immateriale- si occupano
di questioni concrete.
Nellorganizzazione alcuni ruoli confermano la graduatoria
per professioni: il medico -che coordina il gruppo di lavoro
distrettuale- mantiene la posizione ed il prestigio.
A volte però anche nellambiente di lavoro le situazioni
sono un po ambigue e, cambiando contesto, lo stesso
medico deve fare riferimento al programmatore informatico
che possiede il sapere di un campo nuovo e poco frequentato.
Dunque
nel gruppo esiste una gerarchia che varia a seconda degli
eventi e del tipo di argomento trattato. Lo stereotipo che
farebbe del medico il capo riconosciuto a cui sottomettersi,
si scontra con il potere del programmatore che ragiona con
logica lineare e funzionale alla complessità dei problemi
da un lato e della macchina-computer dallaltro.
Nessun
gruppo del LAB "ricostruiva" una piramide gerarchica effettivamente
esistente nellazienda e dunque nessuno si sarebbe
dovuto aspettare di gestire il suo normale ruolo con lo
stesso grado di potere, sia in termini di comando che di
sottomissione. Eppure le aspettative, con qualche accentuazione
per i partecipanti abituati a "contare", non erano diverse
che nella normale vita lavorativa. In pratica ciascuno teneva
conto dellesistente e degli stereotipi, senza considerare
che, rispetto al compito assegnato al gruppo, tutti erano
alla pari e, se mai, dovevano cercare di utilizzare le loro
competenze e le loro capacità per eseguirlo. Linfluenza
che tutto questo esercitava su ciascuno si evidenziava nella
qualità e quantità degli interventi verbali: chi si riteneva
posizionato alla base della piramide parlava poco, soprattutto
per fare commenti, considerazioni e di rado per fare proposte
o per scherarsi a favore o contro qualcosa o qualcuno. Chi
stava nei gradini più alti della scala gerarchica, riusciva
a presentare la propria idea ma non trovava un seguito.
Linfluenzamento funzionava maggiormente in termini
restrittivi, attivando la censura reciproca ed un sottile
gioco di potere caratterizzato da una competizione strisciante
il cui senso era "se non vinco io, non vinci neppure tu!".
Va
ricordato che il gruppo era praticamente femminile, avendo
fra i membri un solo maschio. Data la situazione, questa
è certamente una condizione aggravante. Le donne sono in
genere più competitive fra loro e anche in questo caso hanno
perso di vista il traguardo da raggiungere.
Dove
si evidenzia questo fenomeno c'è anche un altro filtro per
interpretarlo: la questione della leadership. Nei gruppi
di formazione, la gerarchia preesistente non è riconosciuta
e quindi non ha potere o perché i partecipanti non si conoscono
fra loro o per convenzione. Perciò il capo non è "dato"
e addirittura non esiste per lo meno in questa definizione.
Esistono invece diversi tipi di leaders (o almeno uno),
che si evidenziano quando l'aggregazione si trasforma in
vero e proprio gruppo ed in risposta ai bisogni dello stesso.
Il profilo del capo non comprende le stesse capacità psicologiche
del profilo del leader. Addirittura, un capo può non avere
le competenze necessarie, ma il ruolo gli conferisce la
possibilità di agire in modo congruente. Sono molti gli
esempi in questo senso: i sosia utilizzati da alcuni dittatori
per evitare rischi alla propria vita, non sono "smascherati"
dai cittadini.
La
scarsa corrispondenza fra chi ha il ruolo di capo nella
vita lavorativa e il ruolo di leader nella formazione, genera
sorpresa e delusione. Le persone mature e con effettivo
desiderio di imparare, fanno di questa scoperta e dell'esperienza
conseguente un apprendimento prezioso, da utilizzare anche
nell'area professionale. Chi è più incerto ed insicuro,
si sente minacciato e di solito in queste situazioni, tende
a personalizzare ed a scatenare conflitti che sono più spesso
una lotta contro -e dunque sono distruttivi- piuttosto che
una lotta "per" - indirizzati su qualche obiettivo da raggiungere
effettivamente. A questi ultimi sfugge la via della collaborazione
e della cooperazione che può rappresentare una accettabile
mediazione fra essere il dominatore del gruppo o il gregario
più insignificante.
La
concentrazione su di sé spesso rende ottusi e ciechi rispetto
al susseguirsi degli eventi del gruppo limitando grandemente
l'apprendimento.
PROFESSIONALE
e PERSONALE
Anche
questo è un binomio molto frequente nelle esperienze di
gruppo. Lo si incontra in particolare quando la formazione
è fatta sul posto di lavoro o per motivi professionali.
Serve
di solito in termini difensivi, quando si vuole dimostrare
che ci si adatta a contesti diversi, che si è plastici e
flessibili; che in un ambiente lavorativo non si può essere
completamente sé stessi. Dunque per scusare e giustificare
comportamenti che, soprattutto agli altri, paiono inadeguati
alla situazione. Un altro motivo è il tentativo di razionalizzare
il proprio comportamento, smorzando la pressione di qualcuno
che vorrebbe farci agire diversamente e stimolare la nostra
apertura.
Nel
nostro LAB occorre considerare la reazione come coerente
perché, quando il gruppo è "cousin", ciò che accade nel
percorso formativo avrà ripercussioni nei rapporti interpersonali
successivi. Manca in queste situazioni la totale libertà
che dovrebbe caratterizzare ogni attività di sensibilizzazione.
Mostrarsi come si è effettivamente o "scoprirsi" via via,
lasciando emergere punti forti e limiti della propria personalità,
può avere conseguenze nella quotidianità lavorativa; può
modificare la percezione che gli altri hanno di noi. E se
non modifica il comportamento altrui nei nostri confronti,
basta che modifichi il nostro, producendo così - come dice
K.Lewin - un cambiamento generale.
Nella
formazione aziendale, il gruppo fa frequente riferimento
al binomio personale-professionale perché si sente spinto
a rapporti più profondi o almeno più significativi. L'analogia
fra personale e professionale è più frequente in rapporto
al tipo di lavoro che ha come utenti persone in situazioni
di debolezza o di difficoltà. Com'è possibile offrire un
servizio di qualità a persone sconosciute, se non si è in
grado di relazionarsi con i colleghi?!?
Non si intende parlare di relazioni di amicizia. Essere
"presenti" in ogni momento e cominciare collegando contenuti
con emozioni ed espressività non è qualcosa che riusciamo
a fare "a comando". Perché entri a far parte dei nostri
comportamenti abituali, occorre che ne abbiamo avuto esperienza,
e più di qualche volta.
Chi
sceglie di fare percorsi di sensibilizzazione per migliorarsi
indipendentemente dalla sua professione, in realtà non pensa
di avere una doppia personalità, né comportamenti diametralmente
opposti in contesti differenti. E pur vero che, secondo
la definizione di K.Lewin (KL) il "campo" determina delle
forze tipiche di quel particolare contesto/gruppo. Ciò non
è in contraddizione con la convinzione dellunicità
della persona. Secondo KL, lindividuo ed il gruppo
possono essere descritti topologicamente nello stesso modo,
con la differenza che le regioni, nellindividuo sono
costituite da caratteristiche di personalità e nel gruppo
sono rappresentate dalle persone che lo compongono.
La
dinamica fra le regioni dellindividuo è uguale a quella
del gruppo. Levoluzione del singolo è il risultato
dellallargarsi/restringersi delle sue regioni/caratteristiche.
Nel gruppo lindividuo ritrova attraverso le altre
persone, parti di sé che vengono sollecitate più efficacemente
proprio perché il contesto fa da acceleratore. Lintenzionalità
di un percorso formativo è ulteriormente stimolante. Ma
questo processo si verifica in ogni situazione. Dunque il
significato dellaffermazione "io quando lavoro sono
diversa da quando sono in famiglia" rimanda alluso
di caratteristiche di personalità che si ritengono più adeguate
al contesto, ma che coesistono accanto a quelle che si censurano
in quelloccasione perché si ritengono inadatte. La
persona rimane sempre la stessa e può decidere di modificare
il suo comportamento usando altre parti di sé in risposta
a nuove situazioni, a forti emozioni, ecc.
Questo
vale "nel bene e nel male" cioè sia per gli aspetti di noi
che ci piacciono che per quelli che detestiamo. Così è difficile
che la mia apertura e socievolezza, tipiche del mio carattere,
spariscano quando sono ad una riunione di lavoro. Magari
non darò a tutti del "tu" o non li chiamerò col nome di
battesimo; o eviterò di raccontare eventi della mia vita
privata. Sarà però difficile nascondere il mio comportamento
accogliente nei confronti degli altri, la mia capacità di
ascolto, la mia tolleranza, ecc.
Perché
allora nel gruppo le differenze di comportamento in campo
professionale e nella vita privata sono oggetto di discussione?
Forse si tratta di unesplorazione finalizzata a verificare
laccettazione di modi di fare più familiari. Per convenzione,
infatti, nei luoghi di lavoro i rapporti sono formali e
rispettosi, escludono laspetto emotivo e qualsiasi
forma di intimità che verrebbe percepita come intrusione
o addirittura come una forma di pressione e di violenza.
Ma, nonostante ciò, sentimenti ed emozioni albergano in
ciascuno in rapporto alle relazioni interpersonali ed agli
eventi che caratterizzano la quotidianità.
Nel
caso del nostro LAB, letà dei partecipanti (dai 25
ai 45 anni) e la quantità considerevole di tempo dedicato
al lavoro, stimolano a ricercare nellorganizzazione
aspetti gratificanti. Occorre però essere prudenti, sia
per non essere fraintesi, sia per non spaventare, sia per
arrivare ad una sorta di decisione condivisa, che dunque
faccia da riferimento nella gestione dei rapporti e che
insieme sia difensiva (se abbiamo deciso per una maggiore
familiarità, non ti devi offendere se critico un tuo comportamento;
non devi sbuffare se ti chiedo un consiglio o se ti chiedo
troppo spesso -per te- aiuto in una mansione).
Ci
potrebbe essere anche unaltra spiegazione al vezzo
di continuare a distinguere fra fuori e dentro il lavoro:
recuperare, attraverso un esterno immaginario, unimmagine
diversa da quella visibile nel contesto professionale. Come
a dire: "io quando lavoro mi attengo a certe regole; per
questo sono pignola. Mi basta uscire dallufficio per
diventare creativa, quasi unartista un po pazza".
In
entrambi i casi si tratta di una modalità difensiva, che
denuncia lincertezza a mettere in opera un comportamento
che si considera inadatto. Dunque un certo grado di insicurezza
ed unautostima poco solida. Diversamente, infatti,
le reazioni al mio comportamento mi diranno se esso è accettato
o no; se può costituire un esempio e servire per la crescita
e levoluzione di tutto il gruppo; ecc.
ESITO
DELL'IMPRESA
Cosa
volevamo ottenere in realtà da questo seminario di avvio
di un consistente percorso formativo? L'obiettivo principale
era quello di rendere evidente a tutti "lo stato dell'arte"
del gruppo in modo che i suoi componenti ne diventassero
consapevoli coscientemente. Un'attività formativa che intende
sviluppare specifiche capacità psicologiche, e dunque stimolare
e produrre un cambiamento, si presenta come una Ricerca-Intervento
in cui i formatori sono solo i tecnici che fanno da supporto
ad azioni svolte "in proprio" dai partecipanti presi come
singoli o come gruppo. Sapere se ci sono problemi, quali
sono, in che misura ci coinvolgono o ci vedono come protagonisti,
serve come punto di partenza ed è già un considerevole cambiamento
rispetto ad una situazione di ignoranza o di indifferenza.
Ogni
volta mi stupisce constatare come l'analogia sia aderente
alla realtà. Fin dall'inizio di un seminario, le regole
di comportamento sono esplicite così come le condizioni
di lavoro e l'obiettivo concreto che si vuole raggiungere.
Parrebbe facile eseguire il compito assegnato. E invece
non è così. I partecipanti non riescono a trovare una strategia
di successo e quando per un caso fortunato trovano un accordo
nel gruppo, non riescono a negoziare efficacemente con gli
altri gruppi. Neppure per scommessa o per sfida nei confronti
dello staff dei formatori.
Ma
il seminario raggiunge sempre gli obiettivi formativi che
riguardavano l'esplicitazione dei problemi esistenti, quelli
che hanno impedito il lavoro operativo. Di solito le difficoltà
più importanti in un analogo tipo di attività sono rappresentate
da:
- percezione
di incertezza e di instabilità dell'ambiente di lavoro
- modesta
autostima dei partecipanti sia personale che professionale
- diffidenza
derivante da scarsa conoscenza degli altri partecipanti,
ma anche nei confronti dei membri dello staff
- comunicazione
censurata
- relazioni
interpersonali carenti, o superficiali, o problematiche
- preferenza
per la manipolazione nelle situazioni decisorie
- evitamento
del conflitto aperto
- difficoltà
a lavorare in gruppo.
Come
per l'uovo di Colombo (l'aneddoto riferisce che quando fu
chiesto a Cristoforo Colombo di far stare "in piedi" un
uovo, lui lo abbia fatto fracassandone il guscio): la procedura
pare semplice, addirittura banale e forse persino un po'
stupida. Ma la sua efficacia è innegabile.
Ma
non sarebbe stato così anche per una partita di "Monopoli"?
E'
vero, ci sono molti elementi di somiglianza. La maggiore
differenza fra le due situazioni sta nell'imprevedibilità
del "fattore umano" del partecipante che fa da materiale
di gioco ,e che, incrociandosi con quello di altre 10/12
persone, produce situazioni in cui l'emozione nasce dal
non sapere se gli "scoppi" si devono a bombe o a fuochi
d'artificio.
|